IL DISEGNO DI LEGGE SULL’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE CONSIGLIO – UNA RIFORMA ZOPPA

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Prof. Mario Bassani

Il 15 novembre 2023 il Governo ha comunicato alla Presidenza del Senato il disegno di legge costituzionale avente per oggetto «Modifiche agli articoli 59, 88, 92, 88 e 94 della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica». La relazione di accompagnamento ne indica gli obiettivi che qui di seguito si sintetizzano.

Avendo premesso che la proposta ha l’obiettivo di dare stabilità ai Governi e di contrastare la volatilità delle maggioranze anche per effetto del trasformismo parlamentare, il disegno di legge si propone cinque obiettivi: l’elezione a suffragio universale diretto del Presidente del Consiglio, la stabilità dell’incarico per una durata quinquennale, la sostituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri in caso di dimissioni o di revoca della fiducia con un parlamentare della maggioranza al solo fine di proseguire nella attuazione del medesimo programma di Governo, la determinazione (sic !) di un sistema elettorale che assicuri al partito vincente la maggioranza dei seggi parlamentari e, infine, la soppressione della figura dei Senatori a vita. Nella relazione compare pure una annotazione secondo la quale la formulazione dell’articolato è ispirata a un criterio «minimale» (così nel testo) quasi a significare che la riforma ha un carattere del tutto marginale rispetto all’impianto della carta costituzionale.

Di contro, l’articolo 1 della Costituzione non prevede un sistema di democrazia diretta, quale è quello che la riforma intende introdurre. Occorre al riguardo anche richiamare la funzione costituzionalmente rilevante dei partiti ai quali l’articolo 47 affida la missione di determinare la politica nazionale con il concorso dei cittadini iscritti.

Venendo all’esame dell’articolato, l’aspetto di maggior rilievo si rinviene nell’articolo 3 che prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio secondo una legge elettorale che, per sua natura, deve rivestire la forma della legge ordinaria, ma senza indicazione del quorum di validità ed efficacia del voto popolare. È quindi una semplice maggioranza parlamentare a dettare le regole. È del resto noto che le leggi elettorali vengono scritte secondo ragioni di convenienza nell’intendimento di prefigurarne l’esito. Occorre anche tenere presente che il livello del quorum è un indice di rappresentatività, e un’elezione diretta non deve finire con l’essere espressione di una maggioranza elettorale ma minoritaria rispetto all’elettorato.

L’articolo 4 detta norme sulla formazione del Governo che deve essere sorretto dalla fiducia delle Camere. Viene subito da annotare che se la fiducia non viene espressa risulta del tutto vanificata l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. È anche prevista la sanzione di scioglimento del Parlamento qualora la mancata fiducia sia espressa una seconda volta. Un atteggiamento punitivo irrispettoso della volontà popolare che il Parlamento lo ha eletto.

È inoltre previsto, nella medesima norma, che in caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico ad altro parlamentare, che sia stato candidato in collegamento al Presidente del Consiglio eletto, per attuare gli impegni programmatici sui quali il Governo ha ottenuto la fiducia. Si ha quindi una cristallizzazione dell’azione di Governo sulla base di un programma che eventi interni o esterni imporrebbero di aggiornare o modificare. Non è chiaro neppure per quale motivo il Presidente eletto debba essere sostituito da un parlamentare che ha il solo merito di averlo seguito nell’ordine della lista elettorale.

Quanto al ruolo e funzioni del Presidente della Repubblica, le si riducono a contenuti notarili. Occorre anche rilevare che entrata in vigore della riforma, fissata dall’articolo 5 alla prossima tornata elettorale, comporta la modifica dei ruoli e funzioni del Presidente della Repubblica quando il settennato della carica è ancora vigente, con uno sgarbo istituzionale assai grave.

A questo punto si deve prendere atto che l’articolato rischia di non rispondere alle esigenze di riforma che l’attuale Governo si propone di attuare quale è espressa e illustrata nella relazione di accompagnamento. Ed in effetti, la conclamata esigenza di stabilità dei Governi viene meno se la fiducia può essere revocata dal Parlamento, che in questo modo ritrova la sua centralità.

Quanto ad impedire «ribaltoni» (con scarsa eleganza di linguaggio normativo), non si tiene conto del divieto di vincolo di mandato che l’articolo 67 della Costituzione prevede. Questa riforma, anche per questo aspetto, non tiene conto del mutamento di condizioni politiche che può legittimamente determinare un diverso orientamento politico del parlamentare eletto.

Non resta ora che attendere lo svolgimento dell’iter parlamentare.

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