INDENNITÀ SOSTITUTIVA PER FERIE NON GODUTE ALLA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO AL DIPENDENTE PUBBLICO. CORTE DI GIUSTIZIA UE 18 GENNAIO 2024 C-218/22

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Avv. Prof. Giangiacomo Ruggeri

L’istituto delle ferie non dipende, nelle sue applicazioni pratiche, esclusivamente dalla volontà del dipendente.

L’art. 2109, comma 2, cod. civ., infatti, precisa che le ferie sono stabilite dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore.

L’applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore alla fruizione delle ferie o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, espressamente previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, consente all’Ente la possibilità di assegnazione d’ufficio delle ferie.

In tale contesto si inserisce l’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 135/2012, che statuisce:

“8. Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.

Si tratta di una normativa che, sostanzialmente, ribadendo l’obbligatoria fruizione delle ferie, dei riposi e dei permessi da parte dei dirigenti e dei dipendenti, nel rispetto delle previsioni legali o contrattuali che disciplinano detti istituti, vieta ogni forma di corresponsione di trattamenti economici sostitutivi per il caso di mancato godimento degli stessi.

Tuttavia, nonostante questo divieto normativo di monetizzare le ferie non godute, la Corte di Cassazione, con sentenza del 1° febbraio 2018, n. 2496, confermando i propri precedenti orientamenti, stabilisce che l’inerzia della P.A., rispetto alla concessione o all’imposizione della fruizione d’ufficio delle ferie, obbliga la stessa alla remunerazione di eventuali ferie residue a prescindere dalla mancata richiesta avanzata dal dipendente durante il rapporto di lavoro.

Il fatto si riferisce a un Dirigente di una P.A. (Istituto di ricerca) che ha lavorato fino al suo pensionamento con un residuo di ferie non fruite pari a 52 giorni. A fronte del diniego alla monetizzazione delle stesse, il lavoratore si è rivolto al Giudice del lavoro che, in prima istanza ha respinto la domanda, mentre la Corte d’Appello in riforma della sentenza del Tribunale ha accolto la domanda e condannato la P.A. al pagamento del trattamento economico sostitutivo.

La P.A. ricorre in Cassazione argomentando che nel CCNL è espressamente prevista la remunerazione solo qualora l’amministrazione abbia negato le ferie al dipendente per esigenze di servizio, mentre, nel caso di specie, non avendo il dipendente mai fatto domanda di ferie, né avendo lo stesso dato prova che l’amministrazione gli avesse indicato delle necessità di servizio per cui era richiesta la sua prestazione lavorativa, nulla avrebbe dovuto versare per le ferie residue; che, tra l’altro, trattandosi di figura dirigenziale, spettava allo stesso dipendente l’organizzazione della propria attività lavorativa, avendo massima libertà anche di scegliere i giorni di riposo.

La Suprema Corte, richiamando l’interpretazione della prassi amministrativa e della magistratura contabile, ritiene che il diritto costituzionale alle ferie sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso da causa non imputabile al lavoratore.

Quindi, nel solco di precedenti orientamenti della stessa Corte, afferma che dal mancato godimento delle ferie deriva il diritto del lavoratore a ricevere il pagamento dell’indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, salvo che il datore di lavoro dimostri di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito.

Coerente con questa decisione è un altro precedente della stessa Cassazione (sentenza n. 27206/2017) che ha giudicato legittimo il comportamento della P.A. che aveva sospeso il lavoratore, prossimo al pensionamento, al fine di fargli smaltire le ferie e i riposi compensativi residui.

In questa fattispecie la Suprema Corte ha concluso che, qualora nel corso del rapporto il dipendente non abbia fruito delle ferie e dei riposi compensativi nella misura contrattualmente prevista, il datore di lavoro è legittimato a imporre la fruizione degli stessi, anche per prevenire richieste di pagamento dell’indennità sostitutiva, espressamente esclusa dall’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012 convertito, con modificazioni, nella Legge n. 135/2012.

Sul versante del diritto dell’Unione Europea, la Corte di Giustizia, sezione X, Causa C- 341/15, pronunciatasi su una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ha fissato il seguente principio:

“L’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003 concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che:

– esso osta a una normativa nazionale, (…), che priva del diritto dell’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute il lavoratore il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito della sua domanda di pensionamento e che non sia stato in grado di usufruire di tutte le ferie prima della fine di tale rapporto di lavoro”.

In ultimo, la stessa Corte di Lussemburgo, sentenza 18 gennaio 2024, C-218/22, sulla questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE sollevata dal Tribunale del Lavoro di Lecce, ha pronunciato il seguente principio:

“L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà.”.

Il caso riguardava un funzionario comunale che aveva chiesto il riconoscimento del diritto ad una indennità sostitutiva delle ferie maturate ma non godute, pari a 79 giorni, all’atto delle sue dimissioni volontarie per andare in pensione anticipata. Il comune aveva rifiutato tale richiesta di pagamento in quanto sosteneva che il dipendente era consapevole del suo obbligo di fruire, prima della cessazione del rapporto di lavoro, di tutti i giorni di ferie ancora residui che gli spettavano.

Anche con quest’ultima sentenza la Corte Europea conferma che le ferie sono un diritto inalienabile e, secondo il principio sancito dall’art. 36, comma 3, Cost., sono irrinunciabili; esse vanno fruite regolarmente oppure devono essere monetizzate alla fine del rapporto in quanto il lavoratore vanta un diritto di credito che deve essere liquidato nell’osservanza del termine della prescrizione decennale poiché si fonda sul rapporto contrattuale di lavoro.

La Corte Europea ha pertanto ribadito l’incompatibilità del divieto di monetizzare le ferie non usufruite, previsto nella normativa italiana per i soli dipendenti pubblici (art. 5, comma 8, D.L. n. 95/2012 convertito, con modificazioni, nella Legge n. 135/2012 sulla spending review), con il diritto europeo, in particolare con la Direttiva Lavoro 2003/88/CE in vigore in tutta Europa.

Si ricorda che le pronunce della Corte di Giustizia hanno efficacia retroattiva e sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri dell’Unione senza che siano necessari atti legislativi di recepimento.

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