Attività delegata e documentazione dell’imprenditore commerciale – artt. 2203-2221 c.c.

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Avv. Adolfo Tencati

1. Considerazioni sulla circolazione dell’azienda

L’art. 2558 c.c. individua quale “effetto naturale della fattispecie traslativa” dell’azienda “la successione automatica del cessionario in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’impresa”[1]. Ciò perché “l’azienda e l’impresa sono fenomeni complementari” [2]. L’azienda, infatti, costituisce “lo strumento che l’imprenditore impiega per l’esercizio dell’attività economica produttiva di beni o servizi, il quale, in quanto di natura professionale, rappresenta l’impresa”[3].

Sono peraltro esclusi dall’effetto traslativo i contratti che, pur inerendo all’esercizio dell’impresa, hanno carattere personale, riguardano “prestazioni già concluse o esaurite”, oppure qualora “le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio”[4].

Indipendentemente dalla cessione dei contratti, i crediti ed i debiti circolano unitamente all’azienda ceduta alle condizioni indicate dagli artt. 2559 e 2560, 2º co., c.c.[5].

Ciò premesso, si esaminano alcune fattispecie legate al trasferimento delle posizioni creditorie, in particolare derivanti dall’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori[6], e debitorie circolanti assieme all’azienda ceduta.  Stante il collegamento tra il passaggio dei debiti aziendali al cessionario e la tenuta della contabilità, si considera in particolare la successione nel lato passivo dell’obbligazione, perché legato all’attuale ricerca di chi scrive[7].

Prima di scendere nel merito si evidenzia che la responsabilità solidale del cessionario con il cedente dell’azienda deriva dall’art. 2560, 2º co., c.c. quand’anche la norma non si applichi direttamente perché il debito non risulta dalla documentazione contabile.

Tuttavia, la responsabilità in esame sorge considerando “la cessione dell’intera azienda ad una società di neo-costituzione avente una compagine sociale quasi identica alla propria, con contestuale messa in liquidazione della cedente e prosecuzione della medesima attività da parte della cessionaria, il tutto nel corso di un processo che ha visto la cedente stessa essere condannata al pagamento di una somma a favore di un professionista. Questa [N.d.a.] appare operazione oggettivamente e sostanzialmente volta a rendere concretamente inesigibile il credito di […], e ad eludere quindi le sue ragioni creditorie”. (Trib. Reggio Emilia, sez. II, 16 giugno 2015, n. 964, www.notai.bz.it).

Rinviando ai commenti alla sentenza[8], si esamina la casistica dove la documentazione contabile entra in contatto con la circolazione dei debiti aziendali.

2. Le passività circolanti assieme all’azienda
2.1. La cessione parziale dell’azienda con trasferimento dei debiti

Il trasferimento non riguarda sempre l’intera azienda, ponendo così il problema: entro quali limiti si applica l’art. 2560, 2º co., c.c.?

Per rispondere bisogna innanzitutto descrivere il ramo di azienda. A tal fine, oltre all’insegnamento delle Sezioni Unite[9], si richiama la nozione ex art. 2112, 5º co., 2ª frase, c.c. Pertanto, “deve intendersi come parte dell’azienda l’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, preesistente come tale al trasferimento, e che conserva nel trasferimento la propria identità” è [10].

Accertato, con valutazione di fatto riservata al giudice del merito, che è stato trasferito un ramo di azienda, anziché i singoli beni che lo compongono, si possono ricercare i debiti rispetto ai quali si verifica la “solidarietà passiva legale” tra il cedente ed il cessionario[11].

A tal fine si condivide, sebbene sul solo piano teorico, l’insegnamento per cui, “in caso di cessione di ramo d’azienda, il bilanciamento previsto dall’art. 2560, comma 2, c.c., tra la tutela dell’affidamento dei creditori e dell’interesse economico collettivo alla facilità di circolazione aziendale, si realizza ritenendo che l’acquirente di un ramo di azienda risponde dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori, a condizione che siano inerenti alla gestione del ramo d’azienda ceduto”. (Cass. Civ., sez. III, 30 giugno 2015, n.13319, www.dejure.it).

Rovesciando l’affermazione dei supremi giudici, il cessionario del ramo aziendale non risponde quindi dei costi generali non frazionati [12].

Cose in Ma questi esistono, gravando pro quota sul ramo d’azienda ceduto. Ne deriva la problematica operativa che rende discutibile Cass. 13319/2015.

Va innanzitutto superata l’ipotesi dove esiste una contabilità separata per ciascun ramo aziendale. In tale evenienza, infatti, il suo acquirente risponde delle passività derivanti dalla medesima contabilità, nella quale è pure inserita la quota dei costi generali[13].

Peraltro, l’art. 2560, 2º co., c.c. non richiede l’istituzione di tale contabilità, disinteressandosi anzi del caso dove l’azienda è ceduta solo in parte[14].

Quando, come solitamente avviene, esiste una contabilità unitaria per l’intera impresa, sorge la problematica: come si distribuiscono i costi generali[15]?

La soluzione consiste nel creare la proporzione tra le passività relative al ramo aziendale ceduto ed i costi generali.

È unico Ma è difficile quantificare quest’ultimo elemento, come dimostrano le variegate ipotesi presentate in dottrina[16].

Difficoltà operative a parte, il criterio che porta l’acquirente del ramo aziendale a rispondere delle obbligazioni inerenti al ramo stesso, oltre che di una quota dei costi generali, soddisfa tutti gli interessi protetti dall’art. 2560, 2º co., c.c.

2.2. La documentazione dei costi aziendali

Indipendentemente dal trasferimento dell’intera azienda o di singoli rami, i debiti legalmente accollati al cessionario risultano dalle scritture contabili obbligatorie ex art. 2214, 1º e 2º co., c.c.[17].

Anche se la disciplina sulla cessione dell’azienda non lo dice, le scritture in questione devono essere regolarmente tenute, diversamente da quanto avvenuto in un caso recentemente esaminato dalla S.C.[18].

In tale evenienza il credito della controparte [e quindi il corrispondente debito dell’imprenditore] risulta dall’inventario non sottoscritto.

Condividendo un precedente esaminato anche da chi scrive[19], i supremi giudici non considerano

“la sottoscrizione delle scritture contabili obbligatorie [nella specie dell’inventario: N.d.a.], nel caso disciplinato dall’art. 2560 c.c., comma 2, […] requisito costitutivo, potendo essere sufficiente la sola annotazione dei debiti in dette scritture (eventualmente corroborata da altri riscontri) al fine dell’assunzione della responsabilità da parte dell’azienda cessionaria nei confronti dei terzi creditori”. (Cass. Civ., sez. II, ord., 3 settembre 2021, n. 23881).

Stante la continuità tra Cass. 32134/2019 e Cass. 23881/2021, si considerano unitariamente le suddette ordinanze.

L’orientamento giurisprudenziale, che va consolidandosi, è criticato da chi non lo considera “frutto di un’interpretazione” dell’art. 2560, 2º co., c.c., vedendovi “piuttosto […] le sembianze di una sua riscrittura pretoria”[20].

La S.C., nel 2019 e nel 2021, perciò contrasta l’antico insegnamento che ritiene “l’iscrizione del debito nelle scritture contabili obbligatorie del cedente […] un elemento costitutivo del sorgere della responsabilità del cessionario in caso di trasferimento di azienda. […] Tale elemento non può essere surrogato da altri strumenti probatori, stante l’eccezionalità” dell’art. 2560, 2ºco., c.c. “rispetto ai principi di diritto comune”[21].

Basterebbe quindi non annotare un debito in contabilità, trasferendo poi l’azienda, per impedire al creditore l’azione contro il cessionario.

Le ragioni creditorie sono tuttavia protette ipotizzando la possibilità di dimostrare la conoscenza/conoscibilità della passività da fonti diverse dalla contabilità del cedente[22].

Essendo consolidato l’insegnamento contrastato dalle pronunce del 2019 e del 2021, grazie ad esse entra però in crisi l’affidamento delle parti nella stabilità della giurisprudenza.

Anche se il mutamento giurisprudenziale non contrasta con l’art.   6 CEDU[23], “la certezza del diritto è un bene che andrebbe preservato e che ha una sua notevole rilevanza anche sul piano economico”[24].

Per garantire la prevedibilità degli esiti processuali occorre allora chiamare in causa la responsabilità del cedente ex art.    2560, 2º co., c.c. solo quando si evince   da elementi extracontabili gravi, precisi e concordanti che il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo è preordinato ad eludere le ragioni dei creditori.

[1] Cass. Civ., sez. II, ord., 3 gennaio 2020, n. 15, Contr, 2020, 271, nota Timpano 2020.

[2] Salafia 2008.

[3] Salafia 2008.

[4] Cass. 3/2020.

[5] Come osservato da Versaci 2020, l’art. 2560, 1º co., c.c. si allinea alla disciplina generale dell’accollo [art. 1273 c.c.] per cui la liberazione dell’accollante presuppone il consenso del creditore.

[6] Sulle orme di Auletta 1945,Salafia 2008 conclude: “se l’inadempienza dell’amministratore, consistente in cattiva gestione dell’impresa, abbia arrecato danno alla società in termini di minori profitti o maggiori perdite di esercizio, gli effetti colpiranno il patrimonio della società, ma non direttamente l’azienda: in altre parole, l’illecito dell’amministratore diminuisce “la ricchezza del soggetto società, ma non” necessariamente danneggia “quell’importante elemento del suo patrimonio costituito dall’azienda”. Perciò, il credito al “risarcimento del danno non potrà che spettare alla società e non al soggetto che acquisterà la sua azienda, nella quale l’inadempienza dell’amministratore non ha lasciato tracce”. È in ogni caso salva una diversa pattuizione tra il cedente ed il cessionario dell’azienda.

Invece, come documentato da Salafia 2008, l’interpretazione prevalente ritiene il credito per risarcimento danni da mala gestio trasferito in ogni caso all’acquirente dell’azienda afferente alla società cedente.

[7] Il rinvio va a Tencati 2022 [data di pubblicazione].

[8] Cfr. Brizzolari 2016; Laurini 2016.

[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 5 marzo 2014, n. 5087, www.dejure.it, par. 20: “ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione, l’azienda, quale complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito”.

Rinviando ai più significativi commenti [cfr. Delli Priscoli 2014; Grassi 2014; Aureli 2015] per gli aspetti estranei all’odierna indagine, per essa rileva la concezione dell’azienda come oggetto unitario di diritti, similmente a quanto avviene per il ramo aziendale.

[10] Jeantet, Romani 2016, oltre al riferito art. 2112, 5º co., 2ª frase, c.c., citano altre disposizioni dove il legislatore nazionale e comunitario considera i rami dell’azienda.

[11] Così Jeantet, Romani 2016.

[12] Questa è l’obiezione che Butturini 2016 e Jeantet, Romani 2016 rivolgono a Cass. 13319/2015, sulla quale cfr. altresì Cottino 2015.

[13] Cfr., talora quasi testualmente, Jeantet, Romani 2016.

[14] La questione è esaminata, con le opportune citazioni, da Butturini 2016.

[15] Butturini 2016 esemplifica alcuni costi generali da ripartire pro quota.

[16] Cfr. Butturini 2016.

[17] Così Jeantet, Romani 2016.

[18] Si legga Cass. Civ., sez. II, ord., 3 settembre 2021, n. 23881, www.fiscal-focus.it, dov’è così massimata: “in ipotesi di cessione di un’azienda commerciale, il professionista può ottenere il pagamento dell’onorario da parte del cessionario che si è accollato i debiti del cedente anche qualora il libro degli inventari non sia stato sottoscritto”.

[19] Cfr. Cass. Civ., sez. III, ord., 10 dicembre 2019, n. 32134, Soc, 2020, 682, nota Tencati 2020.

[20] Versaci 2020 quasi letteralmente.

[21] Questa, ad es., è l’opinione di Pettiti 1970, alla quale aderisce Cass. Civ., sez. III, 10 novembre 2010, n.22831, www.dejure.it.

[22] Sulla ripartizione dell’onere probatorio, criticando l’ordinanza 32134/2019, cfr. Versaci 2020.

[23] Per approfondimenti e citazioni di pronunce della Corte EDU cfr. Scoditti 2018.

[24] Castelli, Bosco 2020. Gli sviluppi incompatibili con l’attuale trattazione si trovano in Gianformaggio 1988.

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