Cass. Civ., sez. II, 17 maggio 2004, n. 9333

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Cass. Civ., sez. II, 17 maggio 2004, n. 9333

[Omissis].

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.r.l. RCM Costruzioni otteneva dal Presidente del Tribunale di Salerno ingiunzione di pagamento nei confronti del condominio Palazzo BOYE di Nocera Inferiore per £ 1.369.905.419, oltre interessi, a titolo di residuo del compenso spettante per gli eseguiti lavori di riparazione e consolidamento del detto palazzo. Avverso il decreto monitorio il condominio ingiunto proponeva opposizione eccependo, tra l’altro, che il conto finale dei lavori presentava omissioni ed errori anche perché le opere erano viziate.

Con sentenza 28/3/1998 l’adito Tribunale di Nocera Inferiore, in parziale accoglimento dell’opposizione, condannava il condominio a pagare alla società R.c.m. £ 988.523.890 oltre interessi. In particolare, il Tribunale, in relazione al punto concernente i vizi dell’opera, affermava che l’assenza di domanda riconvenzionale di riduzione di prezzo o di risarcimento del danno impediva ogni decisione su detto punto, attesa l’accertata definitività dell’inadempimento dell’appaltatore.

Il condominio proponeva gravame al quale resisteva la società appellata.

Con sentenza 16/6/2000 la Corte di appello di Salerno accoglieva parzialmente il gravame e rideterminava il credito della s.r.l. R.c.m. in £ 681.732.390 oltre interessi. La Corte di merito, per quel che ancora rileva in questa sede, osservava: che era infondato il secondo motivo di gravame, relativo all’aggiornamento dei prezzi contrattuali, con il quale l’appellante aveva contestato la debenza della maggiorazione del 34%; che tale aumento era previsto dal decreto legge 111/87 reiterato e poi convertito nella legge 12/88; che era invece fondato il terzo motivo di appello con il quale il condominio si era doluto della mancata detrazione del costo effettivo del c.d. “betoncino” e del rivestimento; che secondo il c.t.u. tale betoncino, non essendo stato eseguito nel rispetto dei dosaggi opportuni, non era adatto ad assolvere alla funzione per la quale era stato costruito potendo al più essere considerato intonaco cementizio; che in sede di chiarimenti il c.t.u. aveva precisato trattarsi di “betoncino declassato” per cui aveva proposto una quantificazione pari al 50% di quanto espresso con una de. 5. Trazione di £ 153.395.750; che, secondo il Tribunale, il mero rifiuto al pagamento non poteva integrare contestazione tesa a precostituire indennizzo per una inadempienza già verificata in assenza di specifica domanda diretta ad ottenere la riduzione del prezzo o il risarcimento del danno; che tale assunto non poteva essere condiviso in quanto i principi generali in tema di inadempimento trovavano applicazione anche in tema di appalto posto che le disposizioni speciali di cui agli articoli 1667-1669 c.c. integravano e non escludevano i detti principi generali; che nella specie il condominio aveva contestato la contabilità finale con riferimento ai lavori non eseguiti e, in particolare, al “betoncino”; che il condominio in sostanza aveva preferito contestare l’altrui pretesa sul presupposto del mancato adempimento piuttosto che agire in via riconvenzionale con le tipiche azioni conseguenti alla disciplina dell’appalto; che il committente condominio, convenuto per il pagamento, ben poteva opporre all’appaltatore i vizi dell’opera avvalendosi del principio “inadimpleti non est adimplendum” al quale si collegava la più specifica disposizione dell’articolo 1667 c.c. e ciò indipendentemente dalla contestuale proposizione in via riconvenzionale di questa domanda che poteva anche mancare senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell’eccezione; che le riportate conclusioni del c.t.u. non potevano essere smentite dalle successive specificazioni con le quali lo stesso consulente aveva affermato che il betoncino costituiva comunque opera di consolidamento; che sul punto erano più convincenti le argomentazioni del c.t. di parte appellante il quale aveva specificato che il materiale usato non assicurava alcun maggiore coefficiente di sicurezza al fabbricato; che le conclusioni del c.t. di parte erano fondate su oggettive valutazioni tecniche ed erano pertanto condivisibili anche per l’accertata carenza del materiale aggregante; che l’importo del betoncino non realizzato era stato determinato in £ 306.791500 per cui tale somma doveva essere detratta dalla contabilizzazione; che la riduzione operata dal c.t.u. peccava di illogicità posto che il condominio non aveva commissionato intonaco cementizio; che comunque all’impresa non era consentito l’utilizzo di materiali alternativi.

La cassazione della sentenza della Corte di appello di Salerno è stata chiesta dalla s.r.l. R.C.M. Costruzioni con ricorso affidato a due motivi. Il condominio Palazzo Boye ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale sorretto da tre motivi illustrati da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale la società RCM denuncia violazione degli articoli 1460, 1667 c.c. e 112 c.p.c. sostenendo che la Corte di appello, dopo aver correttamente affermato che il condominio aveva proposto una mera eccezione di inadempimento, è poi incorsa in errore per non aver valutato le differenze tra detta eccezione e la domanda di riduzione del prezzo dell’appalto di cui all’articolo 1667 c.c. Infatti, anche se entrambe presuppongono la doglianza dei vizi dell’opera, nella prima tale doglianza è finalizzata ad evidenziare l’esistenza di un motivo di inesigibilità del corrispettivo, mentre nella seconda essa è posta a base di una richiesta volta a conseguire una modifica del contenuto del contratto in relazione al prezzo. I due strumenti di tutela del committente sono sottoposti ad una diversa disciplina. Peraltro, l’articolo 1460 c.c. legittima il rifiuto del pagamento solo se serve a stimolare l’altro contraente a compiere una prestazione ancora possibile e non anche quando il rifiuto vale per conseguire un indennizzo per un’inadempienza già irreversibilmente verificatasi. Nella specie la denunciata carenza qualitativa del betoncino costituisce un definitivo vizio dell’opera per cui la conseguente pretesa di riduzione del prezzo andava fatta valere tramite l’azione quanti minoris e non attraverso la sola eccezione di inadempimento. La Corte di appello, decidendo sulla detta azione, ha violato il principio di cui all’articolo 112 c.p.c.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata è del tutto conforme ai principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità in tema di appalto e di responsabilità dell’appaltatore connessa alla garanzia prevista dall’articolo 1667 c.c. per vizi e difformità dell’opera eseguita. In particolare, questa Corte al riguardo ha ripetutamente precisato che le disposizioni speciali in tema di adempimento del contratto di appalto (artt.1667, 1668 e 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore di cui agli artt.1453 e 1455 c.c. sorge quando egli non esegue interamente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell’opera, prevista dagli artt.1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica; pertanto, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (tra le tante, sentenze 9/8/1996 n. 7364; 16/10/ 1995 n. 10772; 15/12/1990 n. 11950). Il committente convenuto per il pagamento può poi opporre all’appaltatore le difformità ed i vizi dell’opera, avvalendosi del principio inadimplenti non est adimplendum al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’articolo 1667 c.c., anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed indipendentemente, quindi, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di questa domanda, che può anche mancare senza pregiudizio alcuno per la proponibilità della eccezione (sentenza 28/9/ 1996 n. 8561).

Nella specie, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata e come sopra riportato nella parte narrativa che precede, il resistente condominio (committente) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dalla società ricorrente (impresa appaltatrice) contestando, tra l’altro, la fondatezza della richiesta di pagamento concernente lavori non eseguiti (con riferimento alla voce relativa al “betoncino”). Il condominio, in tal modo, ha preferito limitarsi a far valere la garanzia di cui all’articolo 1667 c.c. al solo scopo di paralizzare la pretesa dell’appaltatore per mancato adempimento e non anche per ottenere l’attuazione di tale garanzia attraverso la riduzione del prezzo e/o il risarcimento del danno. L’opponente ha quindi correttamente sollevato l’eccezione di inadempimento ex ultimo comma articolo 1667 c.c. in relazione a lavori eseguiti non conformi alle regole d’arte ed alle pattuizioni contrattuali in quanto affetti da vizi non riconoscibili all’epoca della verifica perché attinenti alle caratteristiche dei materiali utilizzati individuabili solo all’esito di complesse indagini tecniche. Va peraltro rilevato che la garanzia dell’appaltatore per le difformità ed i vizi dell’opera si presenta come applicazione della comune responsabilità contrattuale per inadempimento, seppure di carattere speciale per quanto riguarda i presupposti di applicazione ed il contenuto e le modalità di esercizio.

Inoltre, nella deduzione con la quale il committente fa valere le difformità ed i vizi dell’opera al fine di opporsi alla domanda di pagamento del corrispettivo preteso dall’appaltatore, non va ravvisata una domanda, bensì un’eccezione che, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., può essere proposta per la prima volta anche in appello, risolvendosi nell’allegazione di un fatto impeditivo del diritto vantato dalla controparte (sentenza 18/12/1999 n. 14284).

Va infine segnalato che, come è noto, la decadenza del committente dall’azione di garanzia per vizi dell’opera non è rilevabile di ufficio e la relativa eccezione non è proponibile per la prima volta nel giudizio di cassazione. Nel caso in esame non risulta — né è stato dedotto dalla ricorrente — che nei giudizi di merito sia stata eccepita dalla R.C.M. Costruzioni la decadenza del condominio dalla garanzia per vizi e difformità dell’opera. In definitiva la decisione impugnata si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto con la censura in esame.

Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., sul punto della decisione relativo all’accertamento dei vizi ed alla valutazione delle connesse conseguenze, nonché vizi di motivazione circa il punto della decisione concernente la preferenza accordata alle valutazioni del c.t.p. rispetto a quelle del c.t.u. Secondo la RCM la Corte di appello, nel fondare il proprio convincimento sulla relazione del c.t.p. (mera allegazione difensiva) e non su quella del c.t.u. (fonte di prova) ha violato il principio che gli imponeva di decidere iusta alligata et probata. La Corte di merito è anche incorsa in vizio di motivazione per aver omesso di giustificare — o per averlo fatto in modo inadeguato — la scelta di preferire le deduzioni del c.t.p. a quelle del c.t.u. Del tutto incongrue, illogiche, contraddittorie ed apodittiche sono infatti le ragioni che hanno indotto la Corte di merito a dissentire dalle conclusioni del c.t.u. ed a condividere le valutazioni del c.t.p.

Anche questo motivo non è fondato, risolvendosi essenzialmente, pur se titolato anche come violazione di legge e come vizi di motivazione, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonché nella pretesa di contrastare il risultato dell’attività svolta dalla Corte di appello in ordine: alla valutazione ed all’apprezzamento dei fatti e delle risultanze istruttorie con particolare riferimento all’errata interpretazione ed utilizzazione dei risultati cui era pervenuto il c.t.u. ed alla illogica preferenza accordata alla relazione del c.t.p. Trattasi di attività il cui espletamento costituisce prerogativa del giudice del merito. La motivazione di quest’ultimo al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità se — come nella specie — sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Né per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice di merito è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata. Parimenti si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la “ratio decidendi”, ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore o sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, vale a dire l’apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri di esso giudice di merito. Nel caso in esame non sono ravvisabili né il lamentato difetto di motivazione, né le asserite violazioni di legge. La Corte di appello ha proceduto alla disamina della relazione del c.t.u. ritenendo le stesse condivisibili e non smentite dalle successive specificazioni dello stesso consulente di ufficio. Al riguardo la Corte territoriale ha precisato —con motivato apprezzamento di merito — che le dette specificazioni del c.t.u. risultavano smentite dalle opposte e “ben più convincenti” argomentazioni del c.t. di parte, “fondate su obbiettive valutazioni tecniche”. Va altresì segnalato che, come è principio pacifico, la c.t.u., quale fonte di prova, è liberamente valutabile dal giudice il quale può legittimamente disattendere le valutazioni espresse dal consulente di ufficio attraverso una critica idoneamente e logicamente motivata. Inoltre, come precisato da questa Corte, è ben vero che le consulenze tecniche di parte non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico: tuttavia il giudice di merito può fondare la propria decisione su una consulenza tecnica stragiudiziale (di parte) purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione (sentenze 11/10/2001 n. 12411; 3/3/1992 n. 2574). In particolare, agli accertamenti tecnici stragiudiziali allegati da una parte si può riconoscere valore di indizio il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice del merito (sentenze 5/6/1999 n. 5544; 19/5/1997 n. 4437).

Nella specie il giudice di secondo grado ha dato conto delle proprie valutazioni esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che la Corte di appello, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi del condominio, ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi della RCM Costruzioni.

In definitiva, poiché resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimità ogni possibilità di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non può la ricorrente pretendere il riesame del merito sol perché la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dalla Corte territoriale non collima con le sue aspettative e confutazioni.

Sono pertanto insussistenti gli asseriti vizi di motivazione e le dedotte violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

Occorre infine segnalare che le censure e le critiche concernenti l’asserito omesso o errato esame della c.t.u. e della c.t.p. non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità.

Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito errore di valutazione: solo così è consentito alla Corte di cassazione accertare — sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative — l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perché relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si è formato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

Al riguardo va ribadito che per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità logica tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla vertenza, sì da far ritenere che quella circostanza se fosse stata considerata avrebbe portato ad una decisione diversa.

Le censure mosse dalla ricorrente sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo della relazione del c.t.u. e di quella del c.t.p. richiamate nelle censure in esame e non forniscono alcun dato valido per ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo di dette relazioni. Tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dalle ricorrenti.

Sotto altro aspetto le censure concernenti gli asseriti errori che sarebbero stati commessi dal giudice di appello nel ricostruire i fatti di causa sono inammissibili, risolvendosi nella tesi secondo cui l’impugnata sentenza sarebbe basata su affermazioni contrastanti con gli atti del processo e frutto di errore di percezione o di una mera svista materiale degli atti di causa. Trattasi all’evidenza della denuncia di travisamento dei fatti contro cui è esperibile solo il rimedio della revocazione. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo di revocazione e non di ricorso per cassazione, importando essa un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità.

Con il primo motivo del ricorso incidentale il condominio palazzo Boye, denunciando violazione dell’articolo 1372 c.c. e dei-decreti-legge convertiti nella legge 12/1988, deduce che, come affermato dalla Corte territoriale, i prezzi della tariffa regionale per le OO.PP. erano da maggiorare in ragione del rinvio pattizio al d.l. 111/1987 reiterato sino alla conversione nella legge 12/1988. Il c.t.u. ha riferito che “il betoncino è stato stimato a £ 25.000 a mq” — per un importo complessivo di £ 306.791.500 — ed ha poi suggerito di ridurre la somma contabilizzata al 50% con una detrazione di £ 153.395.750 oltre alla “detrazione della maggiorazione del 34 %” (sull’importo predetto) pari a £ 52.154.555. La Corte di appello ha invece ritenuto di dover detrarre dalla contabilizzazione solo £ 306.791.500 (pari all’importo del betoncino non realizzato) senza aggiungere a tale importo la maggiorazione del 34% (pari a £ 104.309.110) ritenuta operante dalla stessa Corte di merito. Tale maggiorazione è stata applicata dal giudice di secondo grado nel liquidare il credito dell’impresa senza poi tenerne conto nel compiere l’operazione inversa di riaccredito ad esso condominio per lavori contabilizzati ma non eseguiti.

Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia vizi di motivazione sostenendo che la differenza liquidata dalla Corte di appello a credito di esso condominio è il risultato di un’operazione aritmetica fondata su inesatti presupposti numerici: dal calcolo è stato ingiustamente espunto il sovrapprezzo percentuale convenuto. Nella specie, quindi, ricorre un difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, posto che la Corte di merito non ha spiegato il perché del mancato riaccredito in favore di esso condominio anche del pattuito sovrapprezzo sul betoncino non eseguito.

La Corte rileva la fondatezza — nei sensi e nei limiti di seguito precisati — dei detti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando entrambi la questione dell’applicabilità della maggiorazione del 34% che la stessa Corte di appello ha ritenuto di dover riconoscere con riferimento ai compensi spettanti alla società appaltatrice.

In proposito va osservato che la Corte di merito ha accolto la tesi del condominio relativa alla contestazione della pretesa della RCM Costruzioni con riferimento al “betoncino”. Il giudice di secondo grado ha quindi detratto dai conteggi della appaltatrice la partita concernente l’opera non eseguita pari ad un importo determinato in £ 306.791500 senza fornire però alcun chiarimento ed alcuna motivazione in ordine all’applicazione o meno su tale importo del sovrapprezzo del 34%, ossia all’avvenuto o meno computo di tale maggiorazione nel calcolare la somma da defalcare dai conteggi dell’impresa appaltatrice con riferimento ad un compenso dalla stessa contabilizzato per un’opera non eseguita.

È assorbito il terzo motivo del ricorso incidentale — relativo al difetto di motivazione in ordine alla mancata ammissione della richiesta di nuova indagine tecnica — perché proposto subordinatamente all’accoglimento del ricorso principale.

In definitiva il ricorso principale va rigettato mentre vanno accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice che si designa nella Corte di appello di Napoli che procederà a nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra svolti e provvederà a colmare le evidenziate carenze ed incongruità di motivazione sopra evidenziate. Allo stesso giudice si rimette la pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità.

[Omissis].

 

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