Avv. Tiziana Ronchetti, Avv. Massimo Medugno
L’inerzia del proprietario nell’impedire l’accumulo di rifiuti non lo rende responsabile (mentre la condotta del Comune costituisce una concausa diretta del danno subito dalla società). L’ omessa recinzione del suolo non costituisce una negligenza del proprietario del suolo, perché la recinzione è una facoltà e non un onere di diligenza, e la scelta di non recintare non può tradursi in un fatto colposo.
Il caso
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale[1] ha accolto il ricorso svolto dalla proprietaria di un terreno, occupato da alcuni nomadi, avverso l’ordinanza emessa dal Comune di Roma recante l’ingiunzione di rimuovere i rifiuti sversati sul fondo dai medesimi nomadi.
In primo grado, il TAR per il Lazio[2] dichiarava in parte infondato il ricorso promosso dalla Società proprietaria del fondo affermandone la responsabilità per aver tenuto un contegno inerte di fronte ad un fenomeno di deposito di rifiuti prolungato nel tempo e per non aver posto in essere “accorgimenti idonei ad impedire l’accumulo di tali materiali”, quale in primis una recinzione.
Il Giudice di prime cure, pur accertando specifiche responsabilità in capo a coloro che avevano occupato senza titolo il terreno in questione (cioè i nomadi), ha ritenuto che il Ministero dell’Interno o l’Amministrazione comunale non rispondano per i danni che siano stati cagionati al proprietario per altrui fatti illeciti e che le spese sostenute per rimuovere i rifiuti sversati sul fondo possono dar luogo a richieste risarcitorie unicamente nei confronti dei responsabili degli illeciti sversamenti, ma non anche nei confronti delle Amministrazioni pubbliche.
Avverso tale pronuncia del Tribunale amministrativo il proprietario del fondo ha proposto appello sostenendo che l’accumulo dei rifiuti era estraneo alla sua volontà e che non poteva in alcun modo impedirlo avendo tempestivamente e ripetutamente sollecitato l’intervento delle pubbliche Autorità, rimaste inerti.
La sentenza
Secondo il parere del Consiglio di Stato, quanto in sede giurisdizionale, quanto in sede consultiva, l’omessa recinzione del suolo non costituisce ex se un indice di negligenza della vigilanza sul fondo da parte del proprietario, essendo oltre tutto la recinzione scarsamente dissuasiva in tali contesti.
La recinzione è una facoltà del dominus e non un onere di ordinaria diligenza, quindi, la scelta di non fruirne non può tradursi in un fatto colposo. A maggior ragione la mancanza di un sistema di video-sorveglianza non rientra nell’onere di tutela della cosa esigibile dal proprietario.
Peraltro, la negligenza del proprietario non può desumersi dal fatto che lo stesso non abbia posto in essere azione di spoglio nei confronti degli abusivi, giacché tale azione, tenuto conto della natura di questi ultimi sarebbe stata priva di effetti.
La società, pertanto, ha fatto tutto quello che poteva fare e dal canto suo l’Autorità comunale era ben a conoscenza della situazione.
l difetto di una condizione di colpevolezza in capo alla società, dunque, determina l’illegittimità dell’ordinanza.
Al contrario, la complessiva condotta del Comune costituisce una concausa diretta del danno subito dalla società e tale responsabilità si affianca, ai sensi dell’art. 2055 c.c., a quella dei nomadi.
Il Comune di Roma, nonostante la risalente conoscenza della situazione e le ripetute segnalazioni della società, non solo non è per lungo tempo intervenuto con i poteri previsti dall’ordinamento, ma ha persino scaricato su di essa il costo della bonifica, spendendo potestà pubblicistiche in palese difetto dei presupposti di legge.
In conclusione il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello ed, in riforma dell’impugnata sentenza, ha annullato l’ordinanza emessa dal Comune di Roma condannato a corrispondere una somma a titolo di risarcimento danni e le spese per il doppio grado di giudizio.
Il commento
Il Consiglio di Stato capovolge totalmente la pronuncia del Tribunale amministrativo.
Laddove la sentenza di primo grado affermava la responsabilità del proprietario dell’area, incolpevole nello sversamento di rifiuti, ma “colpevole” di essere stato inerte di fronte ai comportamenti altrui, il Consiglio di Stato dichiara l’illegittimità dell’ordinanza per difetto di colpevolezza del proprietario ed afferma la responsabilità in solido dell’Amministrazione per essere stata inerte nonostante le ripetute segnalazioni del proprietario.
La questione, quindi, verte su chi debba rispondere dei danni causati da un fatto illecito altrui di abbandono dei rifiuti su di una proprietà privata e sulla responsabilità dell’Amministrazioni Pubbliche, evidenziando, da una parte, che la mancata recinzione e implementazione di un sistema di videosorveglianza non costituiscono un fatto colposo, ma una mera facoltà del proprietario e, dall’altra parte, che le funzioni pubbliche in materia ambientale ricadono in una responsabilità c.d. oggettiva anche nella causazione del danno alla privata.
L’obbligo di rimozione e smaltimento di rifiuti abbandonati, ai sensi dell’art. 192, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 (Codice Ambiente), può gravare anche sul proprietario dell’area soltanto se la condotta illecita di abbandono dei rifiuti può essergli imputata a titolo di dolo o colpa.
Il nuovo Codice Ambiente (D. Lgs. n. 152/2006) rispetto al previgente decreto Ronchi (D. Lgs. n. 22/97) ha inoltre disposto che l’eventuale responsabilità deve essere imputabile al proprietario in base agli accertamenti effettuati, in contradditorio, dai soggetti preposti al controllo, introducendo così una serie garanzie procedimentali.
Ne deriva che il proprietario dell’area può essere chiamato ad una responsabilità solidale con l’autore dell’illecito esclusivamente solo qualora poteva prevedere e prevenire l’illecito, tenendo una condotta improntata a diligenza media.
Se da un lato, il dettato normativo e giurisprudenziale confermano una posizione di tutela del proprietario nei criteri di attribuzione della responsabilità, dall’altro emerge l’esigenza di una maggiore responsabilizzazione.
Invero, nel disegno di legge “Terra Mia”, i proprietari di aree sequestrate e confiscate, utilizzati da terzi come discariche abusive, ai fini della restituzione, dovranno dimostrare di aver adottato ogni opportuna diligenza al fine di evitare l’impiego di detti beni nell’attività illegale, così svelando e anticipando un diverso orientamento legislativo.
[1] Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 7657 del 3 dicembre 2020;
[2] TAR Lazio, Sezione Seconda, sentenza n. 8725 del 2 agosto 2018;