Relazione di fine mandato del sindaco e del Segretario

Avv. Simonetta Giuliani

Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Piemonte, sentenza 10 giugno 2021, n. 199 – Pres. C. Pinotti, Est. C. Pinotti, P.M. C.A. Martini; Proc. reg. Piemonte c. A.A.

Il Decreto Legislativo n. 149/2011 impone all’art. 4 l’obbligo a carico del responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale di redigere la relazione di fine mandato e l’obbligo a carico del sindaco di sottoscrivere e pubblicare la stessa sul sito dell’ente nonché di trasmetterla alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti, prevedendo sanzioni pecuniarie in caso di inadempimento a carico sia del redattore che del sindaco[1].
La relazione di fine mandato, attese le finalità normativamente enunciate di garantire il coordinamento della finanza pubblica, il rispetto dell’unità economica e giuridica della Repubblica ed il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa, contiene dettagliate notizie in merito alle principali attività amministrative svolte durante il mandato tra cui quelle relative alla situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente, alla misura dell’indebitamento, alla qualità e quantità di servizi resi alla comunità e alle azioni poste in essere per il contenimento della spesa dal sindaco e dall’amministrazione in scadenza.
È oggetto di disamina da parte della Corte dei conti, chiamata all’atto conclusivo dell’intera attività di controllo sulla gestione finanziaria dell’ente per la verifica dell’effettivo perseguimento del principio del buon andamento e dell’attuazione degli equilibri di bilancio, alla quale è attribuito anche il potere di accertare il puntuale rispetto della normativa di cui all’art. 4 D.Lgs. 149/2011.
È inoltre il fondamentale strumento di controllo democratico ad uso della comunità locale (da cui l’importanza della pubblicazione sul sito), posta nelle condizioni di poter valutare l’operato del sindaco e degli amministratori locali uscenti e le relative responsabilità politiche, e di poter in tal modo esprimere un voto consapevole.
Infine, essendo puntualmente raffigurate la situazione di bilancio in cui viene lasciato l’ente e le azioni intraprese, la relazione è anche destinata alla successiva amministrazione, costituendo una sorta di “passaggio di consegne”.
Ciò posto, laddove la sezione regionale di controllo della Corte rilevi la mancata redazione della relazione e/o l’omessa pubblicazione sul sito, procede ad accertare lo specifico inadempimento e trasmette la relativa deliberazione sia al Comune, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 4, comma 6, del D.Lgs. 149/2011, con obbligo di comunicare entro un termine stabilito le iniziative intraprese, e sia alla Procura contabile regionale.
Da questa fase in poi emergono profili di criticità.
Innanzitutto, nel silenzio della norma, occorre individuare quale autorità abbia competenza ad irrogare la sanzione, atteso che la deliberazione della sezione controllo viene trasmessa sia all’ente che alla procura contabile ed atteso che l’art. 4, c. 6, D.Lgs. 149/2011 fissa solo la misura della sanzione applicabile ma non attribuisce espressamente alla Corte dei conti la giurisdizione in tema di applicazione della sanzione de quo né tanto meno indica altra autorità.
Ne deriva che non è affatto pacifico che la competenza ad irrogare la sanzione spetti all’amministrazione (o ad essa in via esclusiva) né di contro appare pacifico che possa intervenire il pm contabile azionando il rito sanzionatorio di cui al Titolo V Capo III del codice di giustizia contabile.
Inoltre, a corollario della problematica sopra esposta, si pone di riflesso l’interrogativo su quale sia il giudice della tutela delle posizioni degli intimati, anche a garanzia del diritto alla difesa di cui agli artt. 24 e 25 Cost.
Quanto riportato rende manifesto il motivo per cui da tempo gli interpreti sono a denunciare il vuoto normativo in materia, oggetto altresì dei rilievi della procura regionale nella sentenza che qui ci vede interessati,[2] vuoto che la stessa procura tenta di colmare argomentando circa la sussistenza della giurisdizione contabile, nella specie con applicazione del rito sanzionatorio di cui agli artt. 133 e ss. c.g.c.[3]
In particolare, la procura – pur in assenza di specifica attribuzione normativa del potere sanzionatorio alla Corte dei conti – ritiene la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti sul presupposto che la relazione di fine mandato, in quanto espressione della c.d. “contabilità̀ di mandato”, rientri nelle “materie di contabilità pubblica” ex art. 102, comma 2, e 103, comma 2, Cost. e che dunque la violazione dell’art. 4 del D.Lgs. 149/2011 integri gli estremi di un illecito contabile a base sanzionatoria, con conseguente competenza delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti, ex artt. 24 e 111 Cost per l’applicazione della sanzione di cui all’art. 4, c. 6, cit.
Tale impostazione escluderebbe asimmetrie di sistema, tra cui la possibilità di pronunce in materie di contabilità pubblica da parte di giudici appartenenti ad altri plessi magistratuali diversi dalla Corte dei conti[4] ed escluderebbe altresì la vanificazione dell’integrazione della funzione giurisdizionale e di quella di controllo.
A tale tentativo interpretativo pone un freno il Collegio giudicante, chiamato a pronunciarsi sul ricorso della procura contabile regionale in opposizione a decreto monocratico – che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti per essere la sanzione ex art. 4, c. 6, D.Lgs. 149/2011 di competenza dell’autorità amministrativa[5] – che respinge il ricorso e conferma in motivazione il difetto di giurisdizione della magistratura contabile nella materia de quo offrendo al contempo una chiara lettura del dato normativo esistente.
Quanto alla giurisdizione contabile in tema di sanzioni ex art. 4, c. 6, D.Lgs. 149/2011, il Collegio richiama gli artt. 1 e 133 del c.g.c. – che distinguono tra le materie in cui la Corte dei conti ha la giurisdizione senza necessità di interposizione legislativa in virtù della riserva costituzionale, e i giudizi che sono “devoluti” alla giurisdizione della Corte dei conti in virtù di una specifica attribuzione legislativa, tra cui rientrano quelli aventi ad oggetto l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie[6] – per escludere che le sanzioni pecuniarie di cui all’art. 4, comma 6, D.Lgs. n. 149/ 2011 rientrino fra quelle la cui irrogazione è rimessa all’iniziativa del procuratore contabile mediante rito sanzionatorio, ciò in quanto l’art. 4 cit. non attribuisce il potere sanzionatorio alla Corte dei conti, come invece richiesto dall’art. 133 c.g.c.[7].
Inoltre il Collegio, pur convenendo sul fatto che l’attrazione della sanzione nella giurisdizione contabile ai sensi dell’art. 133 c.g.c. realizzerebbe una piena sinergia fra le due funzioni del controllo e della giurisdizione ed una effettiva concentrazione delle tutele, ritiene tuttavia che la disciplina esistente non presenti rilevanti criticità applicative.
La competenza ad irrogare la sanzione ex art. 4, c. 6, cit. è infatti da individuarsi secondo le consuete regole vigenti in materia di sanzioni amministrative – e quindi principalmente secondo quanto disposto dalla legge n. 689/1981 – risultando dunque intestata alla pubblica amministrazione la competenza ad irrogare la sanzione amministrativa.
E tanto vale anche ad individuare il giudice innanzi al quale la sanzione potrebbe essere eventualmente giustiziabile in base alla disciplina ordinaria in tema di sanzioni amministrative.
Aggiunge il Collegio che il dato normativo risulta chiaro nel delineare una scissione tra procedimenti tipica di un sistema di doppia tutela giurisdizionale (contabile e ordinaria)[8]in tal modo escludendo rischi di “asimmetrie sistemiche” e risultando altresì coerente con i principi di effettività della tutela giurisdizionale dei destinatari degli effetti degli atti, atteso che i provvedimenti rimangono pienamente giustiziabili nei termini di legge innanzi al giudice contabile e ordinario (artt. 24, 103, 113, 111) – e nello specifico:
– a monte, vi è l’attività (potere) di controllo spettante alla Sezione regionale di controllo secondo un procedimento che si svolge con le garanzie del contraddittorio, fase completamente attratta nel sindacato esclusivo e pieno della giurisdizione contabile in quanto le delibere della Sezione del controllo possono essere impugnata innanzi alle Sezioni Riunite in speciale composizione[9], precludendone l’esame da parte di altro giudice;
– a valle, facendo applicazione dei principi di cui alla L. n. 689/1981, vi è il potere sanzionatorio in capo all’amministrazione, che deve liquidare l’ammontare della sanzione sulla base dell’atto presupposto (la delibera della sezione controllo) e secondo parametri normativi prefissati, per poi darne comunicazione alla Sezione stessa, “ fermo restando che è escluso che la giurisdizione riservata al giudice ordinario sul provvedimento sanzionatorio, possa estendersi agli atti “a monte” del procedimento, che costituiscono espressione di un diverso potere, non essendo la giurisdizione del giudice ordinario “esclusiva”. (C.d.S. n. 1595/2015)”.
Quanto poi al rapporto intercorrente tra funzioni di controllo e requirenti, rileva il Collegio che se il potere di irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie spettasse in via esclusiva al giudice contabile su iniziativa del procuratore, allora non avrebbe senso la trasmissione della delibera della Sezione di controllo all’ente con l’invito ad applicare la sanzione, in quanto non ne avrebbe il potere.
Ne deriva che la trasmissione della delibera (anche) alla procura regionale ha la finalità di rendere edotto il pm contabile di fatti che potrebbero assumere rilievo ai fini di un eventuale giudizio di responsabilità amministrativa (es. mancato incameramento di entrate o incameramento somme inferiori al dovuto).
Chiude il Collegio ammonendo che “non è plausibile che un potere sanzionatorio il cui esercizio soggiace al principio di stretta legalità ed alle garanzie di cui all’art. 6 CEDU, possa essere indistintamente assegnato sia all’amministrazione sia ad un giudice, e che il suo esercizio sia di spettanza dell’uno o dell’altro (o ad entrambi in violazione del bis in idem) sulla base di un mero criterio empirico alla stregua del quale il potere sanzionatorio spetterebbe a chi lo esercita per primo o peggio ancora a chi lo esercita solo in caso di inerzia dell’altro”.
In conclusione, a legislazione vigente, il sistema così come rappresentato in sentenza non pare risentire di lacune normative ostative, risultando il seguente:
– l’amministrazione comunale, ricevuta la delibera dalla sezione regionale di controllo, dovrà provvedere ad attuare la sanzione a carico del sindaco e/o del redattore (responsabile dei servizi finanziari o del Segretario generale) attraverso i propri uffici preposti alla liquidazione delle competenze, comunicando entro il termine stabilito in delibera le azioni avviate o l’avvenuto integrale incameramento delle somme alla sezione regionale ed alla procura regionale:
– la procura contabile regionale potrà eventualmente agire per un giudizio di responsabilità amministrativa nei casi di mancato incameramento di entrate o incameramento di somme inferiori al dovuto;
– in caso di contestazione da parte degli intimati, l’autorità presso cui rivolgersi sarà determinata dal tipo di atto che cade in contestazione:
– avverso la deliberazione della sezione controllo (atto presupposto della sanzione), la parte potrà ricorrere alle sezioni riunite in speciale composizione (giurisdizione piena ed esclusiva della Corte dei conti);
– avverso l’atto amministrativo di irrogazione della sanzione, la parte potrà ricorrere al giudice ordinario, in base alla disciplina in materia di sanzioni amministrative.

 

                                                                                                                             Avv. Simonetta Giuliani

[1] Art. 4, comma 6, D.Lgs. n. 149/2011 “In caso di mancato adempimento dell’obbligo di redazione e di pubblicazione, nel sito istituzionale dell’ente, della relazione di fine mandato, al sindaco e, qualora non abbia predisposto la relazione, al responsabile del servizio finanziario del comune o al segretario generale, è ridotto della metà, con riferimento alle tre successive mensilità, rispettivamente, l’importo dell’indennità di mandato e degli emolumenti. Il sindaco è, inoltre, tenuto a dare notizia della mancata pubblicazione della relazione, motivandone le ragioni nella pagina principale del sito istituzionale dell’ente”. Si evidenzia che l’art. 3ter del D.L. 5 marzo 2021, n. 25, convertito con modificazioni dalla L. 3 maggio 2021, n. 58, statuisce che “Per l’anno 2021, non trova applicazione il comma 6 dell’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149”.
[2] Ultima tra le tante, ad es. cfr Corte dei conti, Piemonte, sent. 22 gennaio 2021, n. 9; sent. 10 giugno 2021, n. 196.
[3] Codice di giustizia contabile, D.Lgs. n. 174/2016 e s.m.i.
[4]Il riferimento è ai Giudici di Pace che inevitabilmente finirebbero per occuparsene, qualora spettasse all’ente locale portare ad attuazione la sanzione.
[5] La fattispecie in questione è stata ritenuta dal giudice monocratico riconducibile, secondo principi generali, alla materia degli illeciti, in cui alla trasgressione di una norma fa seguito una sanzione che, in quanto non penale né civile, è definibile in via di principio come sanzione amministrativa, normalmente irrogata dall’autorità amministrativa mediante provvedimento amministrativo, che, predeterminata in misura fissa, esclude l’esercizio del potere valutativo del giudicante configurandosi come un automatismo di stampo amministrativo. Pertanto, conclude il giudice monocratico, la sanzione de qua risulta essere di competenza dell’autorità amministrativa, non mancando di evidenziare che la lacuna normativa circa l’autorità competente l’irrogazione della sanzione de qua, per quanto possa ritenersi opportuna una sua riconduzione al sistema, non sembra colmabile mediante rinvio a disposizioni di natura processuale quali quelle contenute nel codice giustizia contabile.
[6] Oggetto dello specifico rito sanzionatorio disciplinato nel capo III del Titolo V del codice di giustizia contabile che si applica ai “casi in cui la legge prevede che la Corte dei conti irroga ai responsabili della violazione di specifiche disposizioni normative una sanzione pecuniaria, stabilita fra un minimo e un massimo edittale”.
[7] Art. 133 c.g.c., D.Lgs. 174/2016 e s.m.i. “Ferma restando la responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 e successive modificazioni, quando la legge prevede che la Corte dei conti irroga ai responsabili della violazione di specifiche disposizioni normative, una sanzione pecuniaria stabilita tra un minimo massimo edittale, il pubblico ministero d’ufficio, o su segnalazione della Corte nell’esercizio delle sue attribuzioni contenziose o di controllo, promuove il giudizio per l’applicazione della sanzione pecuniaria”.
[8]che non è un unicum nel nostro sistema sanzionatorio atteso che esso si realizza – tra l’altro – per le sanzioni della Consob e della Banca d’Italia per le quali, a seconda dell’atto che viene impugnato, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sui singoli provvedimenti sanzionatori, e la giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti regolamentari presupposti ove immediatamente lesivi, (Corte cost. sentenze n. 94 /2014 per la Banca d’Italia e n. 162/2012 per la Consob)”, così in sentenza.
[9] Ai sensi dell’art. 11, comma 6, lett. e).

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