5. I Comuni e la capacità contrattuale di diritto privato

IL PUNTO N. 5

Prof. Vittorio Italia

  1. Premessa.

Vi sono ancora molti interrogativi sui Comuni e sulla loro capacità contrattuale di diritto privato.

Ad esempio, un Comune può stipulare un contratto di compravendita secondo le regole del diritto privato? Oppure, può stipulare degli accordi con dei privati, per risolvere un problema che riguarda alcuni aspetti dell’attività del Comune?

  1. L’articolo 11 della legge 241/1990 e l’articolo 13 del Codice civile.

Le regole dell’articolo 11 della l. 241/1990[1] non risolvono il problema, per la ragione che oltre al citato articolo 11 l. 241/1990 vi è, ancora vigente, l’articolo 11 del Codice civile del 1942, che stabilisce: “Le Province ed i Comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”.

[1] Art. 11. (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento)

  1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. Da 1-bis a 4-bis. (Omissis).

Questo articolo, che è spesso ignorato, e di cui non risulta traccia negli statuti e nei regolamenti dei Comuni, delle Province ed anche delle Città metropolitane, stabilisce la capacità di diritto privato degli enti pubblici, Comuni, Province e Città metropolitane. Esso è quasi identico all’articolo 2 del Codice civile del 1865[1] e non brilla per chiarezza.

Infatti sono sorti dei dubbi sul significato dell’inciso: “leggi ed usi osservati come diritto pubblico”, come se vi fosse un’ “osservanza” della legge e degli usi in base al diritto pubblico ed un’ “osservanza” in base al diritto privato.

La dottrina, nel corso del 1800 e 1900 ed anche recentemente[2], ha esaminato questo problema, ed è pervenuta alla conclusione che esso significa: “Le Province ed i Comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche, godono dei diritti civili secondo le leggi di diritto pubblico e gli usi di diritto pubblico”.

In altre parole, le persone giuridiche pubbliche godono dei diritti privati cui possono godere le persone giuridiche private, ma nei limiti che sono stabiliti dalle leggi di diritto pubblico e degli usi di diritto pubblico.

[1] “I Comuni, le Province, gli istituti pubblici ed ecclesiastici ed in generale, tutti corpi morali legalmente riconosciuti, sono considerati come persone e godono dei diritti civili secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”.

[2] Cfr. ad es., LONGOBARDI, Quando l’Amministrazione si avvale del diritto privato. Le indicazioni di Antonio Amorth, in Diritto e processo amministrativo, n. 4/2018, p. 1071 ss.

  1. Conseguenze sulla capacità di diritto privato degli enti pubblici.

Da questa interpretazione della dottrina e della giurisprudenza derivano le seguenti conseguenze:

a) Se una determinata fattispecie non è disciplinata da alcuna norma di diritto pubblico e non può essere regolata secondo gli usi di diritto pubblico, la persona giuridica pubblica godrà dei diritti civili nello stesso modo delle persone giuridiche private.

b) Se una determinata fattispecie è disciplinata da una norma di diritto pubblico, o da un uso di diritto pubblico, la regola che il Codice civile prescrive sarà modificata secondo queste norme o questi usi.

c) Gli “accordi” di cui alla legge 241/1990, devono essere considerati ed interpretati secondo le regole del diritto pubblico.

d) L’art. 1, comma 2 bis della legge 241/1990, che stabilisce: “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non amministrativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente” non ha né abrogato, né derogato l’articolo 11 del Codice civile, e quest’ultimo è un articolo di una legge che “dispone diversamente”.

  1. Gli accordi come “diritto pubblico” o “diritto privato speciale”.

La disciplina degli “accordi” come era stato acutamente precisato a suo tempo da Antonio Amorth[1], è costituita da “norme di diritto pubblico”. Era stato anche ipotizzato un “diritto privato speciale”, ma si tratta sostanzialmente di norme di diritto pubblico, perché la loro applicazione è riservata ai soli enti pubblici.

[1] AMORTH, Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa e diritto privato, (1938) ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1994, p. 2717 ss.

  1. Necessità di una nuova disciplina sulla capacità di diritto privato degli enti pubblici.

Da questo complesso intreccio normativo, di cui sono state qui date solo le linee essenziali, deriva la necessità di una nuova disciplina sulle capacità di diritto privato degli enti pubblici.

Ciò è confermato anche dal rilievo che – nell’assenza di una nuova disciplina – sono sorte spontaneamente nuove forme giuridiche in cui l’ente pubblico agisce nel campo del diritto privato, e ciò è avvenuto con la costituzione di società per azioni partecipate, anche se in parte, dall’ente pubblico.

Ma questo nuovo “fungo giuridico” si è rivelato in parte, “velenoso”, perché queste società partecipate si sono – a giudizio della Corte dei conti – trasformate spesso in “carrozzoni burocratici”, e sono state fonti di corruzione. Appare perciò necessaria, con il nuovo Testo unico degli Enti locali (o se si vuole usare una denominazione diversa, la nuova Carta delle autonomie) una nuova, chiara e puntuale disciplina della capacità di diritto privato degli Enti pubblici, specie di quelli territoriali.

*   *   *

Comuni e società partecipate all’interno del sistema dei controlli interni del Comune e dei controlli esterni  della Corte dei conti.

Avv. Lorenzo Camarda

Premessa

L’inserimento di strumenti mutuati dal management privato nell’ambito della gestione dei servizi pubblici ha costituito una porta di ingresso   delle società partecipate nella vita dell’ente locale. Dalla prassi amministrativa emerge che queste forme di collaborazione tra l’ente pubblico e le società private registrano delle criticità ed inefficienze  riconducibili, anche, a forme di corruzione  dovute alla mancanza di un efficace controllo da parte del Comune nei confronti della società partecipata.

In questa sede si ritiene di focalizzare l’attenzione sul sistema dei controlli interni dell’ente e sul sistema dei controlli esterni, esercitati dalla Corte dei Conti; nella convinzione che un controllo puntuale ed integrato possa migliorare le performance delle società partecipate a vantaggio dei bilanci del Comune.

Il controllo interno del Comune

Stante che la scelta di ricorrere o meno alla costituzione  (ed anche del mantenimento delle quote di una società partecipata) rientra nell’ambito dell’ autonomia organizzativa del Comune,  il primo controllo è esercitato dal Consiglio comunale, sulla scorta di una  analisi costi/benefici operata da soggetti indipendenti di provata competenza (ad esempio Università e/o Istituti di consulenza economico-finanziaria). Innanzitutto, l’ oggetto dell’analisi deve riguardare l’effettiva convenienza per il Comune di modellare l’organizzazione di un servizio (o di servizi) a mezzo di una società, in alternativa all’internalizzazione o all’appalto. Successivamente, con ulteriore analisi costi/benefici, si procederà alla scelta del modello societario a cui  ricorrere. Ovviamente la scelta deve essere rapportata al bilancio di previsione dell’ente e supportata dai “pareri” di cui all’art. 147-bis TUEL da parte dei responsabili dei servizi, in particolare quello del capo servizio di ragioneria che deve apporre anche il visto della copertura di bilancio oltre ad esprimere il parere di regolarità contabile.

Il Comune non esaurisce il suo compito istituzionale nel fissare gli obiettivi che la società partecipata deve conseguire (efficacia), ma deve anche esercitare il controllo sul perseguimento dei risultati in termini gestionali, secondo parametri qualitativi e quantitativi (efficienza). Di conseguenza il controllo deve essere esercitato in itinere ed ex post. A tal fine il Comune è tenuto ad organizzare un sistema informativo adeguato a conoscere costantemente l’andamento dei rapporti finanziari tra Comune e società, nonché monitorare la situazione contabile, gestionale ed organizzativa della stessa società. In altre parole, il bilancio deve essere letto, interpretato e gestito attraverso una lente di ingrandimento “dinamica” adeguata a scrutinare i flussi finanziari che intercorrono tra Comune e società partecipata.

Nella prassi amministrativa, invece,  si registra un “abbandono” da parte del Comune di questo costante monitoraggio di efficacia ed efficienza dell’attività svolta dalla società partecipata. Ciò e dovuto, a parere di chi scrive, in primis dal ridimensionamento da parte del legislatore del controllo di gestione (in itinere) che accompagna la vita gestionale dell’ente, meglio marcata nella disciplina previgente (prima scrittura dell’art,147 TUEL). In ogni caso tale critica va estesa ai Comuni ai quali l’autonomia normativa ed organizzativa di cui sono dotati, consentirebbe loro di rafforzare tale controllo nel sistema dei controlli interni. Tali carenze si ribaltano sul sistema anticorruzione interno che, per mancanza di completezza di dati forniti dal sistema dei controlli interni, riduce la sua efficacia.

Relativamente alle società partecipate,  il legislatore, con D.lgs. 175/2016 ha stabilito che per la costituzione di società partecipate (ma anche per il mantenimento delle quote) pone due vincoli. Il primo c.d. “vincolo di scopo” che riguarda l’oggetto delle attività di produzione di beni e servizi da parte della società, che dovrà esser strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente; il secondo c.d. “vincolo di attività” che riguarda le attività consentite alle società pubbliche. Tra queste, si ricordano, la produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; la progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma; l’organizzazione e gestione di un servizio di interesse generale attraverso un contratto di partenariato.

Il controllo esterno della Corte dei conti

Un efficace ed efficiente sistema dei controlli sull’ente locale non può che nascere da un controllo “integrato” tra controlli interni e controlli esterni, a fortiori, a parere di chi scrive, quando i servizi sono gestiti da società partecipate. Sul punto è utile soffermare l’attenzione sull’attività di consulenza preventiva della Corte dei conti a favore dei Comuni. La materia è disciplinata della legge 131/2003 che consente anche alle Amministrazioni locali ( Comuni, Province, Città metropolitane) oltre che alle Regioni, di acquisire dei pareri in materia di contabilità pubblica.

Dalla prassi amministrativa emerge che l’ opzione di ricorrere  alla funzione consultiva fornita dalla Corte dei conti è poco sfruttata dai Comuni che, comunque, per poter accedere devono soddisfare due condizioni. La prima, di carattere soggettivo, riguarda la legittimazione a richiedere il parere (la norma prevede che tali richieste possono essere formulate dal Consiglio delle autonomie, se istituito, altrimenti dal Sindaco legittimato ex art. 50, TUEL). La seconda, di  carattere oggettivo, riguarda la materia sulla quale  la Corte dei conti può essere interpellata. Materia che la stessa  Corte dei conti circoscrive nella “contabilità pubblica” intesa come sistema di norme e principi che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici.  Ne consegue che “la funzione consultiva della Corte non può essere intesa come consulenza generale”.

Si precisa che le Sezioni regionali di controllo non possono pronunciarsi su quesiti che implichino valutazioni sui comportamenti amministrativi o attinenti a casi concreti o ad atti gestionali, già adottati o da adottare da parte dell’Ente. In tale prospettiva, tale parere finirebbe per configurarsi in una surrettizia modalità di co-amministrazione  svuotando il potere discrezionale  amministrativo del Comune.

Conclusioni

Per le  considerazioni accennate,  che trovano spunto dalle osservazioni della prassi amministrativa, è mia opinione che, in sede di rivisitazione del TUEL, sarebbe utile:

a) ripensare al sistema dei controlli interni rinforzando il controllo di gestione (controllo in itinere) nei Comuni con una popolazione superiore ai 15.000 abitanti;

b) valorizzare il sistema di consulenza tecnica per tutti i Comuni da parte delle Province e delle Città metropolitane al fine di uniformare la prassi amministrativa all’interno del territorio provinciale e metropolitano;

c) valorizzare il sistema dei controlli delle Sezioni della Corte dei conti, in particolare potenziare l’attività di consulenza in materia contabile per tutti i Comuni;

d) stabilire un rapporto stabile tra gli enti locali e la Corte dei conti al fine di creare un sistema di “controllo integrato” tra controlli interni e controlli esterni interessando a questo dialogo i servizi di anticorruzione.

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