Brevi note sulla revoca degli assessori comunali

Prof. Mario Bassani

Il TAR della Basilicata, con sentenza della Prima Sezione 16 aprile 2021 n. 303, è tornato sulla questione della legittimità della revoca di assessore da parte del sindaco per ragioni di merito. La controversia era nata da un forte dissenso all’interno della giunta comunale al punto da produrre una frattura insanabile sui criteri e metodi di gestione dell’azione amministrativa seguiti dal sindaco sui quali l’assessore esprimeva forte contrarietà. Il sindaco ha motivato la revoca perché, fra l’altro, come riferito nelle premesse di fatto della sentenza, “(…) nel corso degli ultimi mesi, in occasioni sia di natura istituzionale e non, nonché tramite mezzi di comunicazione social utilizzati all’interno del gruppo di maggioranza, aveva tenuto atteggiamenti non consoni alla carica ricoperta e comportamenti di fatto contrari alla lealtà nei confronti del Sindaco, generando e/o alimentando in alcune occasioni situazioni di conflittualità con altri componenti del Consiglio Comunale del gruppo di maggioranza (…)”.

Ritenendo legittima la revoca, i giudici si sono posti in continuità con l’orientamento giurisprudenziale espresso dalle sentenze richiamate nella parte motiva della Quinta Sezione del Consiglio di Stato 10 luglio 2001 n. 4057 e 23 febbraio 2021 n 1053, secondo cui la revoca può essere motivata con considerazioni di opportunità le cui valutazioni sono rimesse al sindaco, mentre il controllo di legittimità può essere attivato solo per violazione di legge quando questa sia palese. Trattasi dunque dell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale neppure sottoposto a valutazioni politiche da parte del consiglio comunale destinatario della sola comunicazione.

La fonte del potere di revoca di uno o più assessori sta nella attribuzione al sindaco dell’analogo potere di nomina, con il solo onere anche in questo caso di darne comunicazione al consiglio comunale secondo quanto prevede l’articolo 46, c. 2, del D. Lgs. n 267/2000 (il T.U. degli Enti Locali). Occorre peraltro annotare che il potere di controllo sull’operato del sindaco non è del tutto escluso ed è esercitato dal consiglio che può farlo decadere con una mozione di sfiducia nei modi e nelle forme dell’articolo 52 del T.U. cit. ovvero con le dimissioni della maggioranza dei consiglieri come prevede il successivo articolo 53.

Gli effetti della decadenza del sindaco ricadono anche sul consiglio comunale perché comportano il suo scioglimento, secondo il successivo articolo 193, c. 1, lettera b) n. 1 del T.U. cit. Prospettiva che può costituire un deterrente per indurre a ricercare un punto di mediazione politica. La stabilità di governo dell’amministrazione locale che la riforma ha introdotto sulla elezione diretta del sindaco resta dunque affidata all’attenuazione della disputa politica e al comune impegno degli eletti, pur con la diversità dei convincimenti che costituisce il fondamento della democrazia.

In definitiva quanto si ricava dalla sentenza è la considerazione che se i poteri del sindaco sono tanto ampi da svincolarlo anche dalla collegialità nell’ambito della giunta, senza un rapporto di condivisione con il consiglio comunale pur nel rispetto delle rispettive competenze e anche senza più alcun contatto con il corpo elettorale del quale il consiglio è interprete, le finalità alle quali la riforma si era riproposta non possono essere conseguite. L’elezione del sindaco finisce allora con rendere difficile l’attuazione delle regole della democrazia diretta, peraltro estranee alla Costituzione. I rimedi per contrastare l’ingovernabilità stanno dunque prevalentemente nella capacità degli eletti di governare nell’interesse di tutti.

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