Linee guida “o” Protocolli. Nuovi problemi di interpretazione e di applicazione

Prof. Vittorio Italia

 

Le Linee guida, che avrebbero dovuto costituire la “guida” per l’attività di altri soggetti, hanno avuto ed hanno un percorso accidentato.

Dopo un momento di particolare rilievo (specie con le Linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione), hanno avuto un declino, anzi ne è stata proposta la soppressione in occasione delle discussioni preparatorie per il nuovo Codice degli appalti, nelle quali è stato proposto il ritorno al regolamento.

Le ragioni contro le Linee guida erano – in sintesi – il loro numero, il loro accavallarsi, la loro lunghezza, la difficile lettura, e l’incertezza sulla loro vincolatività.

Nonostante questo proclamato de profundis, le Linee guida si sono nuovamente sviluppate, in particolar modo quelle di alcuni Ministeri e di organi dello Stato.

Ma con il verificarsi dell’emergenza sanitaria, si è verificato un nuovo e singolare aspetto delle Linee guida, perché esse sono state sollecitate e richieste dalle Regioni al Governo centrale, e le Regioni hanno affermato che queste “Linee” erano necessarie per svolgere la loro attività. Le stesse Regioni avrebbero poi emanato delle Linee guida per gli abitanti delle singole Regioni e per stabilire le Linee dell’attività degli Enti locali, e questi ultimi, infine, avrebbero stabilito – sulla base delle Linee guida regionali – ulteriori regole per i comportamenti degli abitanti dei rispettivi Comuni o delle Città metropolitane.

Questa nuova situazione fa sorgere molti interrogativi, tra i quali le ragioni della sopravvivenza e dello sviluppo delle Linee guida.

Le ragioni sono molteplici, in base ad ipotesi diverse.

Vi sono innanzitutto delle ipotesi in cui un ente, organo od autorità, una volta che vi è una norma primaria che consente l’emanazione di Linee, guida, continua ad emanarle, senza limiti di tempo o di numero. Infatti, non vi sono in queste ipotesi i limiti che si riscontrano, ad esempio, nella delegazione legislativa dal Parlamento al Governo (tempo limitato, oggetto definito, princìpi e criteri direttivi).

Vi sono poi altre – e numerose – ipotesi in cui vari enti ed organi, anche nel silenzio della legge, basandosi sulla loro competenza rispetto ad una determinata materia e sulla lolro discrezionalità, emana Linee guida, etichettate come “raccomandazioni” o “consigli”, e che contengono in realtà una serie di vincoli e di obblighi.

È significativo l’esempio delle Linee guida dell’Inail (approvate dal Comitato tecnico scientifico il 10 maggio 2020) nelle quali da un lato si afferma che esse sono raccomandazioni e non sono vincolanti. Ma dall’ altro lato, – con l’argomento che vi è un’analisi del rischio – si stabiliscono misure organizzative e di distanze tra le persone, l’utilizzo obbligatorio di “mascherine”, l’obbligo di sanificare l’area di lavoro, ecc.

La ragione della sopravvivenza delle Linee guida sta quindi nella mancanza di limiti per la loro emanazione, ed anche nel far ritenere che i problemi sono stati affrontati e risolti (nel senso che l’ente o l’organo si è occupato del problema) anche se vi è contraddizione tra la premessa (che afferma che si tratta solo di “consigli” e “raccomandazioni”) ed il contenuto delle Linee guida, che stabiliscono obblighi e vincoli.

Ma vi è un nuovo problema che sorge dalle più recenti previsioni normative elle Linee guida.

Il decreto legge 16 maggio 2020, n. 33 – Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID 19, ha previsto l’equiparazione delle Linee guida con i protocolli[1].

Dato che si tratta di un decreto legge, non vi sono lavori preparatori che consentono di cogliere la ragione dell’abbinamento tra Linee guida e protocolli, che sono unite assieme dall’ avverbio “o” (Linee guida o protocolli”, che pone i protocolli e le Linee guida sullo stesso piano.

Forse si è voluto fare riferimento, richiamando i protocolli, ai documenti ed alle precisazioni emanate dalle Autorità sanitarie, e richiamando le Linee guida, alle indicazioni o precisazioni delle Autorità amministrative.

Per approfondire questo interrogativo, è necessario analizzare questi termini (Protocolli o Linee guida), al fine di coglierne le somiglianze e le eventuali differenze.

Il termine “protocollo” ha vari significati.

Esso indicava anticamente il primo (proto) foglio che era “incollato” agli altri fogli del rotolo di papiro, ma con questo termine si faceva riferimento al documento diplomatico che riassumeva un accordo tra gli Stati. In medicina, poi, esso indicava quel documento che raccoglieva l’insieme delle azioni mediche rivolte ad uniformare gli interventi medici. In politica, esso è stato usato per indicare dei documenti storici, alcuni dei quali (ad es. “I protocolli dei savi anziani di Sion”) che si è rivelato un falso.

Questi significati hanno un denominatore comune, che è quello di indicare uno standard, una regola, un complesso di elementi che possono essere adottati o utilizzati in situazioni identiche o simili.

Le linee guida, come indica lo stesso nome, contengono delle indicazioni, delle direttrici, delle “Linee” per ottenere un determinato obiettivo. Sono s tate emanate da diverse Autorità, ed uno dei punti dubbi riguardava se tali Linee fossero o meno obbligatorie e vincolanti.

A questo punto l’equiparazione tra Protocolli e Linee guida pone il quesito de l’equiparazione normativa tra Line guida e Protocolli possa fornire dei chiarimenti per Linee guida, specie per la loro obbligatorietà.

La risposta è affermativa, ed essa riguarda:

a) La qualificazione delle Linee guida ed i Protocolli come norme.

Il comma 14 dell’articolo 1 del decreto legge stabilisce che i protocolli e le Linee guida adottati dalle Regioni o dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome devono rispettare i princìpi contenuti nel Protocollo e nelle Linee guida nazionali.

Ma se i protocolli e le Linee guida contengono dei princìpi, i Protocolli e le Linee guida non sono atti amministrativi, ma sono norme, che possono contenere quelle norme di particolare importanza che sono i princìpi.

b) La qualificazione delle Linee guida e dei Protocolli come norme

Infatti, il contenuto dei Protocolli o delle Linee guida adottate dalle Regioni al fine di prevenire e ridurre il rischio di contagio (comma 14 dell’art. 1) deve essere rispettato da parte delle attività economiche, produttive e sociali.

Ma se questo contenuto deve essere “rispettato”, ciò significa che le Linee guida, come i Protocolli contengono regole vincolanti.

Un ulteriore argomento in favore della tesi esposta si ritrova nel comma 15 del citato articolo 1, che stabilisce il “il mancato rispetto dei contenuti dei Protocolli e delle Linee guida regionali, o, in assenza, nazionali (…) che non assicuri adeguati livelli di protezione, determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

È quindi prevista una sanzione per il mancato rispetto, il che comporta la necessaria conseguenza che le Linee guida contengono regole vincolanti.

Si può quindi affermare, dall’equiparazione tra Protocolli e Linee guida, che:

1) Le Linee guida sono norme;

2) Le Linee guida contengono regole normative vincolanti;

3) L’inosservanza delle Linee guida comporta, come la violazione delle norme, delle sanzioni e ciò conferma, anche da questo punto di vista, che le Linee guida la cui inosservanza comporta delle sanzioni, sono regole normative vincolanti.

4) Queste Linee guida si presentano come norme di livello regolamentare, di integrazione e di attuazione, ai sensi dell’articolo 17 della legge 400/1998, che sviluppano i princìpi contenuti nel decreto legge n. 19/2020.

Le Linee guida indicate nel decreto legge 22/2020 prevedono un complesso intreccio giuridico.

Sono infatti previste delle Linee guida statali governative, rivolte alle Regioni a statuto ordinario, che stabiliscono il quadro, le linee generali per la ripresa delle attività economiche, produttive e sociali.

Queste Linee guida, che trovano la loro qualificazione giuridica in regolamenti governativi di integrazione e di attuazione sono caratterizzate da discrezionalità. E’ pur vero che vi sono i limiti previsti dall’art. 32 Cost., dalle norme costituzionali relative alla solidarietà, nonché dalle altre norme dei Trattati, Direttive, che attengono ai problemi della salute e della solidarietà, ma si tratta di una discrezionalità molto ampia.

Le Linee guida statali sono di livello superiore delle Linee guida regionali.

Queste ultime sono dei regolamenti regionali che sono previsti nella Costituzione e negli statuti regionali, anche se stati poco usati, e sono stati quasi negletti.

Le Linee guida regionali sono in un rapporto di subordinazione, per la parte attinente al quadro ed agli aspetti essenziali, rispetto alle Linee guida statali, che non possono né contraddire, né (dato il termine “rispetto”) derogarvi, e Linee guida regionali possono tenere conto dei contenuti dello statuto regionale.

Le Linee guida regionali, a loro volta, condizionano le Linee guida emanate dagli Enti locali, e queste ultime sono perciò subordinate alle Linee guida regionali, che costituiscono – anche se con una forzatura – i “princìpi fissati dalla legge” di cui all’art. 7 del d.lgs. 267/2000, che prevede anche il “rispetto” dello statuto.

Ne consegue che anche le Linee guida degli Enti locali possono tenere conto del contenuto e delle finalità dello statuto dell’ente, nonché delle sue caratteristiche, ad esempio se l’ente è di mare, di montagna, oppure se ha una vocazione agricola o industriale, o turistica.

Da ciò deriva che i singoli atti amministrativi o procedimenti amministrativi che saranno emanati dalle Autorità locali subiranno la forza di gravità giuridica delle Linee guida, con le variazioni intervenute per le   diversità di queste Linee guida espresse dai singoli enti locali territoriali.

Le regole dell’interpretazione, applicazione e disapplicazione delle Linee guida sono dipendenti dalla loro qualificazione e posizione nel sistema normativo.

L’interpretazione e l’applicazione delle Linee guida statali seguono i criteri dell’interpretazione letterale, ma con la “connessione” non solo delle parole, ma delle regole, statutarie, legislative ordinarie e costituzionali, specie quelle della tutela della salute e dei doveri di solidarietà.

L’interpretazione sarà quindi estensiva o restrittiva a seconda che essa collimi con questi princìpi costituzionali, nonché con le norme dei Trattati e delle Direttive che attengono agli stessi o simili problemi considerati nelle Linee guida.

Ci si deve chiedere se queste Linee guida possano essere interpretate ed applicate analogicamente.

La risposta è affermativa.

Tale interpretazione ed applicazione può essere effettuata da parte dei destinatari principali di queste Linee guida, e perciò le Regioni.

Se le Linee guida stabiliscono un “quadro”, e quindi – un modello di quanto avviene nel rapporto tra princìpi fondamentali delle leggi dello Stato e delle Leggi regionali – stabiliscono le nervature essenziali, princìpi generali (o fondamentali) ciò appare possibile.

Per quanto riguarda le Linee guida emanate dalle Regioni a statuto ordinario e che attengono ai comportamenti dei cittadini e che sono rivolti specialmente agli Enti locali, la loro interpretazione ed applicazione, oltre ai criteri dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, deve tenere conto delle norme costituzionali (specie l’art. 32 e le norme sui doveri di solidarietà).

È quindi sulla base di questi parametri che si potrà svolgere l’interpretazione e l’applicazione estensiva o restrittiva, ed anche analogica.

In queste attività di interpretazione ed attuazione delle Linee guida regionali si dovrà anche tenere conto delle altre norme statutarie regionali che si riferiscono a problemi identici o simili a quelli trattati nelle Linee guida, ed anche delle leggi regionali che riguardano la salute e la solidarietà.

Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, le Linee guida del Governo devono tenere conto degli statuti speciali (che sono di livello costituzionale) e che potranno essere applicate “compatibilmente” con gli statuti e le norme di attuazione. L’espressione “compatibilmente” indica un rapporto di armonia, e quindi di rispetto, come è previsto negli statuti speciali dei “princìpi generali dell’ordinamento dello Stato” (ad es. statuto Sardegna, art. 3; statuto TAA (1972), art.4; statuto FVG, art. 4)

È quindi, sulla base di vari parametri innanzitutto quelli normativi di rango superiore (Trattati, Direttive, norme costituzionali, statuti regionali, leggi regionali) che si potrà svolgere l’interpretazione e l’applicazione delle Linee guida regionali.

Per quanto riguarda, infine, le Linee guida che possono o debbono essere stabilite dagli enti locali, la loro interpretazione ed applicazione segue i criteri precedentemente indicati, e vi è come una sostanziale ampia “scalinata normativa” che stabilisce le regole di questa interpretazione ed applicazione.

Vi è, anche se non è previsto nelle attuali fonti del diritto (che peraltro non prevedono gli statuti) una gerarchia normativa da parte delle norme ed anche delle Linee guida superiori, nei confronti di quelle inferiori.

In riferimento ai problemi dell’applicazione, le Linee guida possono essere disapplicate, e si possono qui seguire le regole della disapplicazione dei regolamenti che sono in contrasto con le norme gerarchicamente superiori che riguardano lo stesso o simile argomento.

La disapplicazione delle Linee guida comporta l’applicazione delle Linee guida che sono di livello superiore, e che si riferiscono ad un ente pubblico territoriale più ampio.

Le Linee guida possono essere annullate in sede di autotutela, da parte della stessa autorità che l’ha emanata.

Questo annullamento avviene per motivi di legittimità, causati da un’errata impostazione, ad esempio Linee guida regionali che non hanno rispettato le Linee guida statali.

Ma questo annullamento può avvenire ad opera dell’autorità dell’ente più ampi, e quindi ad esempio da parte del Prefetto per le Linee guida di un ente locale, o da parte del Governo, in base all’articolo 138 del Testo unico degli Enti locali.

Per quanto riguarda la giurisprudenza, si veda la sentenza del Tar Sicilia 776/2020, in riferimento all’art. 21 nonies della l. 241/1990.

Le Linee guida possono essere revocati per motivi di merito, e quindi di opportunità amministrativa.

Nel caso di specie dell’emergenza sanitaria, ciò potrebbe essere determinato da una “ripresa” dell’emergenza sanitaria.

Tale revoca dovrà però essere motivata, specie in riferimento alle specifiche ragioni sanitarie e quindi alla presenza od anche ad rischio del contagio. È pur vero che (art. 3, l. 241/1990) gli atti normativi non devono essere motivati, ma la situazione dell’emergenza sanitaria si è formata in tempi successivi al 1990, quando è stata costruita la struttura della motivazione. La situazione nuova sanitaria rientra nelle “ragioni di fatto”, e la motivazione della revoca delle Linee guida si presenta perciò necessaria.

Le Linee guida, come si è precedentemente accennato, sono assimilabili ai regolamenti di attuazione e di integrazione.

Come tali, esse incidono sui comportamenti e sulle attività dei privati, e stabiliscono delle regole per gli altri enti territoriali. Esse possono quindi incidere su diritti ed interessi, e possono provocare un danno ingiusto.

In conseguenza, per la violazione di diritto è possibile adire il giudice ordinario in base all’art. 2043 del Codice civile, e chiedere – in relazione al caso specifico – il risarcimento del danno.

Lee Linee guida possono incidere su situazioni soggettive che non sono di diritto, ma di interesse legittimo, ed in questo caso l’interessato può adire il giudice amministrativo e chiedere l’annullamento delle Linee guida.

Il problema principale rispetto a questa difesa in giudizio è il rispetto dei termini processuali per l’impugnazione (60 giorni)

Vi possono essere atti o procedimenti amministrativi che basati sulle Linee guida in modo errato o illegittimo.

Questi atti o procedimenti, intervenuti dopo la scadenza di 60 giorni dall’emanazione e pubblicazione delle Linee guida (ex art. 10 delle disposizioni sulla legge in generale), possono essere impugnati in giudizio.

Si presenta qui lo stesso quadro indicato nel paragrafo precedente, e cioè che se tali atti violano un diritto soggettivo la competenza è del giudice ordinario; se tali atti violano un interesse legittimo, la competenza è del giudice amministrativo, al quale si potrebbe anche chiedere – se si riscontrano i requisiti – la sospensiva.

A conclusione di queste considerazioni sulle novità intervenute sulle Linee guida, si può rilevare che queste regole normative vengono previste ed utilizzate, e ciò conferma la loro vitalità.

Esse sono attualmente in fase di inquadramento nell’attuale sistema delle fonti, nelle quali fanno parte. E’ quindi necessario che vi sia, da parte della giurisprudenza, l’indicazione dei punti essenziali per una loro collocazione tra le fonti. Il legislatore, pressato da problemi urgenti, non ha la possibilità di una pacata ed accurata riflessione, necessaria per la creazione di un istituto giuridico destinato a durare nel tempo e che è ormai collegato con le regole del diritto comunitario.

 

[1] Stabilisce infatti il comma 14 dell’art. 1: “(…) rispetto dei princìpi contenuti nei protocolli o nelle Linee guida nazionali”; (…) In assenza di quelli regionali, tranne applicazioni i protocolli o linee guida adottati a livello nazionale.

Nonché il comma 15 prevede il “mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle Linee guida regionali (…)”.

Nel comma 11, in relazione al documento sottoscritto dal Governo e dalle rispettive confessioni religiose, sono previsti solo i “protocolli”.

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