LA LOTTA AL RICICLAGGIO DI DENARO: LE ATTUALI PROSPETTIVE E IL DIFFICILE PUNTO DI EQUILIBRIO TRA EFFICACIA E COSTI DELLA REGOLAMENTAZIONE

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Avv. Gian Marco Marino

Il riciclaggio di denaro di provenienza illecita così come il finanziamento delle organizzazioni terroristiche rappresentano una grave minaccia per il sistema economico e giuridico. Questo concetto è ormai condiviso da tutte le componenti che se ne occupano, a livello internazionale, comunitario e nazionale. La pericolosità del fenomeno è stata avvertita fin da subito sia per quello che riguarda le conseguenze giuridiche sia per l’impatto che può causare sulle economie nazionali e globali. Immettere infatti nel circuito legale un’ingente mole di denaro di provenienza illecita, oltre ad autoalimentare economicamente la criminalità organizzata o le organizzazioni terroristiche, rappresenta certamente un modo per alterare la concorrenza, rompere gli equilibri economici, creare reti di influenze illegittime capaci di condizionare anche in maniera irreversibile il mercato. Ma il riciclaggio compromette anche la corretta allocazione delle risorse nell’ottica dell’ottimo paretiano fino ad arrivare a livelli di penetrazione nel tessuto economico-normativo tali da essere capace di influire su aspetti finanziari macroeconomici come i tassi di cambio.

In altre parole genera fallimenti del mercato, indipendentemente dagli aspetti giuridici che rappresentano allo stesso tempo prevenzione e repressione del fenomeno riciclatorio.

Partendo proprio da quest’ultimo presupposto nella prospettiva di contribuire all’evoluzione legislativa e al processo di armonizzazione del diritto in corso sul punto (in quest’ottica sono significativi gli sforzi della comunità internazionale con l’adozione e l’estensione delle ormai note Raccomandazioni del GAFI e dell’Unione Europea con le Direttive Antiriciclaggio), una corretta analisi sullo “stato dell’arte” della legislazione antiriciclaggio non può prescindere dalla valutazione dell’efficacia della normativa rapportata tanto ai costi che genera quanto ai risultati che produce.

Posto infatti che la regolamentazione del comparto appare più che necessaria indispensabile, è lecito interrogarsi sull’efficacia degli strumenti messi a disposizione cercando di analizzarli sotto diverse angolature e prospettive.

Uno dei punti di vista più immediati è quello dell’efficienza della regolamentazione intesa come corpus normativo del settore antiriciclaggio. Occorre tuttavia premettere che il dedalo di fonti legislative che sono presenti nel panorama giuridico di riferimento rappresenta un grande ostacolo non solo dal punto di vista meramente dogmatico ma anche da quello pratico. Le cause di ciò sono molteplici e devono essere separatamente individuate. In primo luogo la stratificazione normativa è diretta conseguenza della prospettiva globale dalla quale si è lanciata la sfida al riciclaggio di denaro. Appare quasi pleonastico suggerire che ogni tentativo di armonizzazione del diritto sconta la difficoltà quasi ontologica della differenza tra i sistemi giuridici ed economici, pur se i tentativi di uniformazione e di sintesi sono stati apprezzabili ed hanno raggiunto risultati significativi. In tal senso le numerose Convenzioni Internazionali, il lavoro svolto dall’OCSE e in primis dal GAFI rappresentano la base giuridica e di pensiero dalla quale si è dipanata la conseguente legislazione. Il merito più grande è stato quello di tentare di dotare di regole certe e comuni il fenomeno, nella prospettiva globale in quanto trattasi di fenomeno oggettivamente globale. Ciò, al contrario di chi il riciclaggio di denaro si propone di combatterlo, rappresenta il punto di forza di chi persegue intenti riciclatori, in quanto l’arbitraggio normativo (sia sulle norme antiriciclaggio che fiscali) unito alla facilità di accedere a mercati geograficamente lontani consente di far perdere agevolmente le tracce del denaro “sporco”. A questo fatto si è tentato quindi di porre rimedio mediante l’uniformazione dei principi cardine e la promozione di una intensa collaborazione e cooperazione internazionale. Il grado di efficienza nella lotta al money laundering che le misure adottate hanno raggiunto è un dato difficilmente misurabile con precisione.

Sicuramente sono stati compiuti significativi passi in avanti soprattutto dal punto di vista della prevenzione, uno dei due strumenti giuridici – accanto alla repressione – utilizzati per combattere il fenomeno del riciclaggio di denaro. Infatti preso atto delle difficoltà anzidette in tema di uniformazione giuridica, si è giustamente tentato un approccio preventivo al problema, mettendo in campo una rete di disposizioni che mirano ad evitare che il riciclaggio avvenga, demandando ad un momento successivo la repressione del fenomeno già avvenuto mediante il sistema di sanzioni.

Nelle intenzioni della comunità internazionale questo tipo di approccio appare quasi inevitabile, come dimostrano le Raccomandazioni del GAFI e il risk-based approach nonché la legislazione comunitaria che, sempre in armonia con le citate Raccomandazioni, ha fatto dell’adeguata verifica e degli obblighi di segnalazione strumenti principali di lotta al money laundering.

Il naturale contraltare di questo però è il costo della regolamentazione, che deve essere ripartito tra tutti i destinatari delle norme. Come nel campo della medicina preventiva, se si consente il paragone, l’efficacia del rimedio è direttamente dipendente dal numero dei soggetti che si adeguano. In altre parole l’approccio della prevenzione al fenomeno riciclatorio è efficace solo se tutti i destinatari delle norme sono in grado di rispettarle e con il medesimo grado di intensità. Ciò ha infatti influito nei principi di graduazione del rischio introdotti, proprio nel tentativo di evitare che l’eccessiva regolamentazione e i suoi inevitabili costi investano anche soggetti e scenari in cui, da un giudizio prognostico, il rischio è appunto piuttosto basso. Tale circostanza emerge con chiarezza quando si passa, ad esempio, all’analisi dei dati raccolti nella realtà del nostro paese. Il progressivo aumento delle segnalazioni di operazioni sospette (SOS), arrivate a circa 140.000 nell’ultimo anno (dati UIF 2021) rappresenta un dato da prendere con cautela e che non testimonia solamente l’enorme mole di lavoro cui va incontro l’Autorità in essere presso la Banca d’Italia. Sono diversi infatti gli analisti che spostano l’attenzione sulla qualità delle segnalazioni, la vera cartina tornasole dell’efficacia dello strumento messo a disposizione dall’ordinamento, ormai sempre più preciso anche grazie al progresso tecnologico e all’utilizzo di specifici algoritmi deputati a selezionare ed individuare le operazioni sospette con un elevato grado di rischio. L’aumento delle segnalazioni tuttavia può leggersi anche come criticità del sistema sanzionatorio, che scoraggia in modo forse addirittura eccessivo il destinatario della normativa de quo a tal punto che la scelta ricade sempre nell’adempiere l’onere segnalatorio anche quando esso appaia non commisurato all’effettivo rischio dell’operazione segnalata. Difatti il procedimento sanzionatorio presenta alcuni punti di criticità non tanto nella misura delle sanzioni quanto nel processo che conduce alla loro emanazione e all’assenza di contraddittorio – o meglio di un adeguato contraddittorio – in alcune fasi del procedimento amministrativo. Alcuni brevi testimonianze di ciò possono ritrovarsi nella circostanza che il diritto di audizione dell’incolpato è garantito dalla possibilità che esso venga ascoltato da funzionari del Ministero, ma non dalla Commissione che successivamente concretamente eroga la sanzione, che nell’ottica della sensibilità giuridica del “momento” rappresenta un vulnus in termini di tutela dell’incolpato.

Se da un lato allora è evidente che per le motivazioni suesposte per contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro è opportuno adottare strumenti di prevenzione, che comportano quindi l’adattamento di tutti i destinatari ad un maggior numero di obblighi e adempimenti, dall’altro ciò comporta o può comportare effetti che dal punto di vista economico sono finanche dannosi per il mercato stesso che si tenta di preservare. In primis infatti il costo della regolamentazione è un fattore che alla luce del proliferare legislativo deve essere tenuto in considerazione, nell’ottica di una valutazione generale sullo stato di salute del settore e di un’analisi dell’efficacia normativa che tenga conto anche degli sforzi necessari per adeguarsi alle imposizioni previste. In buona sostanza, fatta la doverosa premessa circa le motivazioni che hanno condotto i legislatori – a tutti i livelli – a privilegiare un metodo legislativo che prevedesse obblighi “preventivi” e su vasta scala, è da considerare il costo della compliance, da intendersi non solo quale funzione interna dell’azienda o dell’intermediario finanziario, ma anche come insieme di concrete attività poste in essere per far sì che essa mantenga un livello soddisfacente.

L’altro lato della lotta al riciclaggio di denaro corrisponde agli strumenti repressivi e sanzionatori messi in campo dagli ordinamenti giuridici, tanto nazionali quanto sovranazionali. In questo caso a valutare l’efficacia del sistema sono i risultati in concreto ottenuti grazie all’applicazione delle dette norme. Nella prospettiva che si intende adottare, e cioè dell’analisi dell’antiriciclaggio dal punto di vista dell’impatto sul mercato che regola, i profili sanzionatori vanno interpretati in base ai risultati che concretamente producono e quindi della qualità delle segnalazioni di operazioni sospette e per quanto riguarda gli aspetti penalistici le risultanze processuali dei giudizi sorti sulla base delle dette imputazioni.

Come puntualmente riportato dalla UIF nel rapporto sull’anno 2020 l’Unità ha ricevuto 113.187 segnalazioni di operazioni sospette, 7.398 unità in più rispetto all’anno precedente facendo quindi registrare un aumento pari al 7,0% (secondo gli ultimi dati messi a disposizione dalla UIF emergono 139.524 unità SOS complessivamente ricevute nel 2021 in aumento del 23,3% rispetto all’anno precedente). L’aumento delle segnalazioni ha un duplice effetto. Se da un lato, infatti, offre maggiori informazioni e materiale ai fini delle analisi strategiche degli organi preposti, dall’altro costituisce un impegno superiore per le istituzioni e gli organismi deputati a gestire tali flussi informativi, con evidenti ripercussioni in tema costi del sistema che si possono “leggere” non solo nelle attività di compliance dedicate, ma anche negli adempimenti ad essi connessi una volta effettuata la segnalazione. Proprio per tali motivi accanto all’aumento delle segnalazioni da un punto di vista quantitativo è auspicabile mantenere un elevato livello di attenzione dal punto di vista qualitativo, onde evitare il c.d. “crying wolf effect”.

La mole dei dati analizzati dalla UIF, su base annuale, racconta quindi una realtà piuttosto complessa e variegata, che si compone di diverse sfaccettature ma che ci permette quantomeno di approcciare il discorso anche nell’ottica dell’analisi empirica della normativa antiriciclaggio. In uno scenario così mutevole e strettamente dipendente dalla realtà di cui si compone, è certamente difficile trarre delle conclusioni nette in ordine al grado di funzionamento del sistema antiriciclaggio. Appare invece evidente la necessità di accelerare i processi di armonizzazione del diritto, nell’ottica di rendere il più omogenea possibile la risposta comune alla sfida globale dell’antiriciclaggio. Allo stesso modo non può negarsi che l’apparato regolatorio del settore sebbene rivesta un ruolo fondamentale nella lotta al money laundering, ha degli impatti notevoli sul mercato che si propone di regolamentare, a volte anche con conseguenze scoraggianti. Il costo dell’antiriciclaggio, in altri termini, deve essere soppesato non solo in base a quello che genera al fine dell’adeguamento della normativa da parte dei destinatari degli obblighi, ma anche dei risultati che produce, avendo particolare riferimento alle ipotesi dove non c’è corrispondenza tra segnalazione e violazione ad esempio.

Il medesimo discorso può essere effettuato avuto riguardo del sistema penalistico. A tal proposito il rischio che si corre è quello dell’overcriminalization delle condotte riciclatorie, anche alla luce dei dati oggettivi che emergono dal numero di fattispecie potenzialmente lesive che finiscono in dibattimento e per quali imputazioni. I dati relativi ai procedimenti iscritti e definiti nei tribunali italiani – sezione gip/gup e dibattimento, anni 2016-2019- in ordine ai reati di cui agli articoli 648, 648- bis, 648 ter e 648- ter. l del codice penale ci mostrano una netta preponderanza per le imputazioni ex art. 648 c.p. (16.339 nel 2019) rispetto a quelli riconducibili alla normativa antiriciclaggio (2633 nel medesimo anno per il reato ex art. 648-bis, circa 500 ex art. 648-ter e poco più di 100 per le imputazioni per reati ex art. 648-ter 1). La statistica si riferisce ai procedimenti iscritti e racconta una realtà ben diversa rispetto gli ingenti sforzi profusi con riferimento all’attenzione e alle risorse messe in campo nella lotta al riciclaggio di denaro. La forbice si allarga ulteriormente se si prendono in considerazione i dati dei procedimenti rilevati nelle sezioni dibattimentali, soprattutto con riferimento agli esiti di condanna che calano drasticamente.

Ciò tuttavia non deve far sottovalutare la minaccia del riciclaggio di denaro e le condotte di finanziamento del terrorismo, stante l’impatto che tali fenomeni provocano sul mercato e la vertiginosa evoluzione delle tecniche affinate sul punto. Piuttosto appaiono condivisibili le prospettive legislative internazionali e comunitarie, sempre più orientate all’intensificazione dei meccanismi di collaborazione e al riordino di un quadro normativo decisamente complesso.

Il fenomeno del riciclaggio di denaro è centrale nelle economie moderne, le cui interconnessioni con altri profili di illiceità (ad esempio l’evasione fiscale) crea un corto circuito di illegalità diffuso capace di influenzare anche pesantemente il mercato di riferimento. La risposta legislativa – per quanto di alto profilo e spesso emersa anche con tempistiche accettabili al netto delle ovvie difficoltà di coordinamento – mediante i duplici aspetti di prevenzione e repressione del fenomeno appare adeguata ed idonea ai tempi; resta tuttavia il dubbio in riferimento alla possibilità che la stessa regolamentazione, ove eccessiva, non produca essa stessa danni economici al mercato che intende proteggere e preservare.

Articolo estratto dal libro “L’antiriciclaggio nell’attuale contesto economico e normativo”, Avv. Gian Marco Marino, 2022, Key Editore.

 

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