Il miglior interesse del minore deve costituire la ratio di ogni decisione adottata sull’affidamento dei figli

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Avv.  Vincenza Milone

Il miglior interesse del minore deve costituire la ratio di ogni decisione adottata sull’affidamento dei minori e deve sempre prevalere sugli altri diritti, la cui attuazione possa comprimerlo.

Sulla base di questo principio cardine sia dell’ordinamento nazionale (artt. 337 ter c.c.) che sovranazionale (ex multis, art. 8 della CEDU e Convenzione sui diritti dell’infanzia e adolescenza) nonché della prevalente giurisprudenza di legittimità e della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9691/2022 del 26 gennaio 2022 e pubblicata in data 24 marzo 2022, ha accolto il ricorso di una madre avverso il provvedimento della Corte d’appello, in cui sono stati disposti la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale di quest’ultima, l’allontanamento del minore dal contesto familiare e il collocamento presso idonea casa familiare, poiché tali provvedimenti non realizzano il miglior interesse del minore.

Secondo i giudici di secondo grado, la decisione è stata determinata dalla necessità improcrastinabile di permettere l’attuazione del diritto del minore e del padre alla bigenitorialità, ostacolato dalla convivenza del minore con la madre. La casa famiglia è stata ritenuta, pertanto, un luogo idoneo per permettere il recupero della relazione con il padre, senza alcuna pressione psicologica da parte della madre.

Orbene, la Corte ha ribadito che deve essere assicurato il rispetto del principio di bigenitorialità, “quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza , educazione e istruzione”. La Corte afferma, tuttavia, che la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale non può essere la conseguenza automatica di una accertata violazione del diritto del padre alla bigenitorialità.

Gli Ermellini hanno, infatti, censurato la decisione della Corte d’appello, che, per realizzare il diritto di uno dei genitori alla bigenitorialità del figlio, ha omesso di valutare le conseguenze che una sottrazione improvvisa del minore dalla madre e dall’ambiente familiare, in cui è vissuto serenamente, avrebbe comportato sullo stesso. Il diritto alla bigenitorialità è un diritto del minore prima ancora che un diritto dei genitori. Se, pertanto, il diritto del singolo genitore ad avere un rapporto continuativo e significativo con il figlio non garantisce il miglior interesse del minore, deve recedere rispetto a quest’ultimo.

La Corte ha rilevato, inoltre, in relazione al supposto condizionamento psicologico da parte della madre sul minore correlato al grave pregiudizio per il figlio, che non vi sono nel provvedimento impugnato dei riscontri verificabili sulla lamentata soggezione del minore alla madre, tale da aver impedito al figlio un autonomo processo decisionale in ordine alla volontà di incontrare il padre. La Corte d’appello, al contrario, si è attenuta, senza alcun vaglio, alle valutazioni psicologiche delle C.T.U. espletate.

In ultimo, la Corte di cassazione ha ritenuto fondata la doglianza della ricorrente sul mancato ascolto del minore infradodicenne, capace di discernimento, da parte sia dei giudici del Tribunale per i minorenni sia della Corte d’appello. Tale adempimento, ha evidenziato la Corte, è previsto a pena di nullità al fine di tutelare i principi del contraddittorio e del giusto processo. I minori, infatti, sono parti sostanziali nei giudizi che li riguardano, portatori di interessi a volte diversi da quelli dei propri genitori. È stato, pertanto, violato il principio del contraddittorio e del diritto del minore per il mancato ascolto non motivato nel provvedimento impugnato. I giudici di legittimità hanno ritenuto importante l’ascolto del minore nel caso di specie, considerati i provvedimenti presi di decadenza della responsabilità genitoriale della madre.

Il collegio ha concluso affermando che, comunque, il diritto alla bigenitorialità del padre non è da ritenersi compromesso definitivamente, se si mette in atto una ulteriore fase di recupero di assistenza psicologica del minore e, con “l’auspicabile ausilio dei difensori delle parti”, di recupero delle competenze genitoriali della ricorrente.

La Corte, in accoglimento di sei dei motivi, ha cassato il provvedimento impugnato e ha rinviato la causa alla Corte d’appello.

 

 

Vincenza Milone è avvocato civilista, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, dove svolge attività professionale. Ha maturato anche una significativa esperienza nel diritto di famiglia, delle persone e dei minori in ambito giudiziale e stragiudiziale.

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