4. I Comuni piccoli e la loro fusione

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IL PUNTO N. 4

Prof. Vittorio Italia

L’ordinamento amministrativo italiano è costituito in ampia parte da Comuni piccoli, chiamati in termini critici: “Comuni polvere”. Le ragioni storiche che li hanno determinati e mantenuti sono oggi superate, ed i Comuni piccoli non possono essere difesi dai nomi tradizionali, dal gonfalone, o dalla persona del Sindaco. È ora sorta la necessità di una loro sistemazione, specie per lo svolgimento dei servizi che devono essere svolti in un ambito territoriale e con popolazione più ampia. Il Testo unico degli Enti locali del 2000 aveva previsto nuove regole per risolvere i problemi dei Comuni piccoli ma esse sono rimaste intatte.

Un passo avanti è stato effettuato con la legge statale 56/2021: “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni”, che ha previsto le modalità delle convenzioni, dell’unione, e della fusione dei Comuni. La fusione dei Comuni – come è stato esattamente sostenuto dall’Avv. Camarda – riguarda le modalità della fusione per incorporazione, ma questa soluzione incontra le seguenti difficoltà:
a) La legge 56/2014 pur avendo finalità condivisibili, è frammentaria (e formata da un unico articolo e da 151 commi) e contiene alcuni complessi rinvii alle precedenti leggi 122/2010 e 148/2011, nonché delle deroghe all’art. 151, comma 1 del Testo unico.
b) La legge 56/2014 non è quindi di immediata comprensione, e non invita gli interessati a procedere per questa strada.
c) Vi sono poi delle imprecisioni, quali la parte finale del comma 133 “salve diverse disposizioni specifiche di maggiore favore”, che non chiarisce in cosa potevano consistere queste diverse specifiche disposizioni di maggiore favore.
d) La legge contiene anche delle espressioni elastiche, relative ai poteri delle Regioni, quali (comma 131) le “idonee misure a incentivare le unioni e le fusioni dei Comuni” dove (comma 124) è variabile (e valutabile solo ex post) l’affermata validità di determinati atti “salvo diverse disposizioni della legge regionale”, dove è incerto sino a che punto possa estendersi tale diversità.

Un cambiamento così importante e rilevante sulla struttura dei Comuni dovrebbe svolgersi non in modo frammentario ed episodico, ma in modo organico e stabile. L’occasione potrebbe essere quella dell’auspicato nuovo Testo unico degli Enti locali o della “Carta delle autonomie”, che stabilisca, in modo preciso, le modalità di quest’operazione chirurgica amministrativa, difficile e delicata, ma necessaria.

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La fusione dei Comuni

Accenni sulle ragioni che inducono a cambiare pelle

Avv. Lorenzo Camarda

L’Italia dei campanili” è un tratto che qualifica la nostra cultura (nell’accezione più ampia del termine) che ha fatto della nostra Nazione il giardino d’Europa. Ne consegue che l’identità territoriale è un segno distintivo, nel costume della nostra gente, inalienabile. Ecco la ragione delle resistenze a “cambiare pelle”. D’altra parte le ristrettezze economiche in cui versano i piccoli comuni, in particolare i c.d. “comuni polvere”,  unita alla necessità di assicurare almeno i servizi essenziali alla popolazione stabilizzata sul territorio (pena lo spopolamento) inducono a pensare a nuove forme associative che consentano di preservare l’esistenza di luoghi e borghi, sia pure con il sacrificio non dell’identità, ma della rinuncia all’autogestione dei servizi.

La legge 7 aprile 2014, n. 56, “ Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, nell’intento di perseguire,  per i comuni più piccoli, una maggiore efficacia ed efficienza dei servizi ed una migliore razionalizzazione della spesa, ha previsto una serie di opzioni gestionali declinate in : convenzioni, unioni di comuni, fusioni di comuni. Numerose disposizioni, in particolare di natura finanziaria, sono state emanate per incentivare i processi di accorpamento tra i comuni e soprattutto per favorirne la fusione.

Le ragioni della preferenza della fusione rispetto all’unione

La prima ed evidente considerazione riguarda l’assetto istituzionale che, nel caso dell’unione, comporta la sopravvivenza di personale politico più corposo (superfluo e costoso) rispetto a quello configurabile con la fusione. Inoltre, così come si è registrato nella prassi amministrativa, la scelta del modello unione ha evidenziato qualche problema anche nella formazione dei processi decisionali. Tali criticità traggono origine dal fatto che l’unione si configura come ente associativo di secondo grado che deve fare sintesi delle decisioni degli enti di primo grado, non sempre allineabili.  Ciò spinge gli enti aderenti all’unione a demandare a questo nuovo ente meno funzioni di quelle che, sotto il profilo economico, converrebbe gestire in comune.  Di converso la scelta della fusione dei comuni semplifica e rende più trasparenti e veloci i processi decisionali.

La seconda considerazione riguarda il numero delle funzioni da trasferire che, stante la natura del nuovo ente unione, non possono mai essere tutte, inoltre talune di esse sono così legate al territorio (stato civile, anagrafe, protocollo) che non sono suscettibili di trasferimento. Ne consegue che le  dotazioni organiche dei Comuni più piccoli,  facenti parte dell’unione, rischiano di rimanere sempre ridotte al lumicino favorendo la deprecabile prassi dei Comuni c.d. polvere di ricorrere al personale politico per adempiere a funzioni amministrative. Con un evidente vulnus al principio della distinzione dei poteri. Di converso, nel caso di fusione dei comuni, la fusione delle rispettive dotazioni organiche si presta a favorire l’aumento delle risorse umane a disposizione del nuovo ente con la possibilità di una professionalizzazione  migliore e di una possibilità rigenerante di “rotazione” del personale.

Il caso della fusione per incorporazione

Di rilievo la previsione della legge 56/2014 di una nuova modalità di fusione c.d. per “incorporazione” da parte di un comune incorporante rispetto ad un comune contiguo incorporato. Secondo questo modello il comune incorporante mantiene la propria personalità e i propri organi, mentre decadono gli organi del comune incorporato. Per il comune incorporato, nello statuto del nuovo ente, saranno previste speciali forme di partecipazione e di decentramento. Fermo restando che l’incorporazione è prevista dalla legge regionale e si procede per la formazione del nuovo ente a referendum tra le popolazioni interessate.

 

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