La repressione dell’abusivismo edilizio ed il silenzio dell’amministrazione

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Avv. Brunello De Rosa

“Sussiste l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati su area confinante, formulata dal relativo proprietario, il quale, appunto per tale aspetto che si invera nel concetto di vicinitas, gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività subendo gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà, onde egli è titolare di una posizione di interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 cod. proc. amm.”.

“Il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e sull’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi”. (1)

“Il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto, può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con il risultato che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso”. (2)

“Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, la pubblica Amministrazione ha in generale il dovere di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.

“L’obbligo di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso, sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano”. (3)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

(Omissis) –  Considerato che con sentenza n. 2290 del 4 novembre 2019 la Sezione dichiarava l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sull’esposto dell’Amministratore del Condominio di via Moscova n. 24 circa l’abuso edilizio che si asseriva compiuto nell’unità immobiliare di proprietà di due condòmini (omissis), esposto con cui si mirava a vedere adottate le relative misure sanzionatorie e quindi rimosso il manufatto edificato sine titulo;

che, in particolare, il giudice adito statuiva che il Comune di Milano aveva l’obbligo di provvedere su detta argomentata richiesta, effettuando le dovute verifiche e determinandosi esplicitamente e motivatamente sull’istanza – in senso positivo o negativo che fosse –, e che non poteva dirsi sufficiente allo scopo l’avere poi l’Amministrazione comunicato di avere avviato gli accertamenti prodromici all’adozione delle misure sanzionatorie, in quanto, allorché l’ente locale accerta la sussistenza dell’abuso edilizio, la pretesa del proprietario confinante si estende anche all’adozione dei provvedimenti repressivi prescritti dalla normativa in materia, a tale concreto risultato evidentemente riconducendosi il bene della vita tutelato in simili casi con il rito del “silenzio”, ovvero l’utilità finale al cui conseguimento legittimamente aspira chi patisce le conseguenze dannose dell’illecito edilizio;

che, in ragione di ciò, accolto il ricorso, veniva assegnato all’Amministrazione comunale un termine di trenta giorni affinché concludesse il procedimento con l’adozione di quei “dovuti atti sanzionatori” solo così preannunciati con nota del 30 luglio 2019;

che, successivamente, il Comune di Milano adottava il provvedimento auspicato dal Condominio ricorrente, ingiungendo al sig. (omissis) la demolizione della “struttura metallica” realizzata senza titolo abilitativo e assegnando il termine di trenta giorni per provvedervi (v. ordinanza P.G. 17424/2020 del 13 gennaio 2020);

che, stante la condotta inerte del sig. (omissis), e tenuto anche conto della circostanza che – adito da quest’ultimo il giudice amministrativo – era stata rigettata l’istanza cautelare proposta in quel giudizio, l’Amministratore del Condominio di via Moscova n. 24 presentava un nuovo esposto all’Amministrazione comunale, in data 4 novembre 2020, con richiesta di “… assumere gli atti consequenziali alla mancata ottemperanza alla diffida a demolire P.G. 17424 del 13 gennaio 2020, e, per l’effetto, a procedere all’adozione della necessaria demolizione d’ufficio …”;

che, in difetto di riscontri da parte dell’Amministrazione, l’interessato ha infine adito il giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 31 e 117 cod.proc.amm., per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sull’esposto e per la conseguente sua condanna a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni, anche con nomina di un commissario ad acta che intervenga in via sostitutiva;

che viene a tal fine invocata la generale previsione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, da applicare ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., e viene altresì richiamato lo specifico obbligo di provvedere sancito dall’art. 27 e ss. del d.P.R. n. 380 del 2001, azionabile ad istanza di chi vi sia legittimato mediante la vicinitas, oltre all’obbligo di provvedere ricavabile dall’art. 1130 cod.civ. circa la legittimazione dell’amministratore condominiale a tutelare il bene comune pregiudicato da opere altrui;

che si è costituito in giudizio il Comune di Milano, opponendosi all’accoglimento del ricorso;

Ritenuto che, come rilevato dalla giurisprudenza, sussiste l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza di repressione di abusi edilizi realizzati su area confinante, formulata dal relativo proprietario, il quale, appunto per tale aspetto che si invera nel concetto di vicinitas, gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività subendo gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà, onde egli è titolare di una posizione di interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 cod.proc.amm. (v. Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2015 n. 5087; da ultimo, Cons. Giust. amm. Reg. Sic. 3 luglio 2020 n. 538 e TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 febbraio 2021 n. 859; v., in generale, anche Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 2019 n. 6519 circa il fatto che il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e sull’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi);

che, pertanto, il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto, può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con il risultato che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2019 n. 2063);

che, del resto, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, la pubblica Amministrazione ha in generale il dovere di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso;

che, inoltre, è principio consolidato che l’obbligo di provvedere sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020 n. 183);

che nella fattispecie il Condominio di via Moscova n. 24 aveva già denunciato in modo dettagliato l’abuso edilizio compiuto nell’unità immobiliare di proprietà di due condòmini e, in ragione della solo parziale risposta del Comune di Milano, aveva ottenuto dal giudice amministrativo (sent. n. 2290 del 4 novembre 2019) l’accertamento dell’illegittimità del silenzio e la condanna dell’Amministrazione a concludere il procedimento avviato con il mero preannuncio dei “dovuti atti sanzionatori”;

che, adottato poi il provvedimento con cui si è ingiunta la demolizione della struttura abusiva, il Condominio ricorrente ha denunciato all’Amministrazione l’omessa ottemperanza degli interessati all’ordinanza comunale e l’ha invitata alla rimozione d’ufficio del manufatto, per infine adire nuovamente il giudice del “silenzio” a fronte dell’assenza di riscontri;

che – osserva il Collegio – la perdurante presenza dell’abuso edilizio legittima certamente a pretendere l’adozione di adeguate misure chi si è già visto a tal fine riconoscere il titolo giuridico, in quanto soggetto nella cui sfera incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto;

che, in ragione di ciò, è da dichiarare fondata la domanda giudiziale del ricorrente, non avendo il Comune di Milano dato riscontro alla motivata richiesta di prosecuzione dell’attività di repressione dell’abuso edilizio accertato in capo ai due controinteressati, nel frattempo resisi responsabili della mancata ottemperanza all’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi;

che, come osservato dalla giurisprudenza, se è vero che il rimedio processuale regolato dagli artt. 31 e 117 cod. proc. amm. non è esperibile contro qualsiasi tipologia di omissione amministrativa perché restano esclusi dalla sua sfera applicativa gli obblighi di eseguire che richiedono, per il loro assolvimento, un’attività meramente materiale e non provvedimentale, è altresì vero che la normativa in materia di vigilanza sull’attività urbanistico/edilizia riserva all’Amministrazione, anche in fase esecutiva, valutazioni discrezionali ulteriori circa l’attività necessaria al ripristino del corretto assetto urbanistico ed edilizio violato (v. TAR Lazio, Sez. II, 3 dicembre 2020 n. 12961), sicché nella circostanza il Comune di Milano non è unicamente chiamato a svolgere attività materiali ma deve innanzi tutto assumere determinazioni che, nel dare séguito all’istanza del privato, realizzino il corretto esercizio dei poteri di cui l’ordinamento lo investe, così da portare a compimento il procedimento repressivo dell’abuso edilizio in questione;

che, in conclusione, va assegnato all’Amministrazione comunale un termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza affinché la stessa provveda nei termini indicati, con la precisazione che il presente dictum giudiziale è circoscritto alla statuizione della sussistenza dell’obbligo di provvedere in capo all’ente locale e non si estende all’accertamento delle misure in concreto da assumere;

che, in caso di inerzia e su documentata richiesta del ricorrente, provvederà in via sostitutiva, nei successivi sessanta giorni, un Commissario ad acta che viene sin d’ora nominato nella persona del Prefetto di Milano, con facoltà di delega ad un funzionario del medesimo ufficio e con l’ausilio, nelle modalità valutate utili, del personale e degli uffici del Comune di Milano;

Considerato, pertanto, che il ricorso va accolto, con conseguente obbligo dell’Amministrazione comunale (e, in via sostitutiva, del Commissario ad acta) di provvedere nei termini suindicati;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:

– lo accoglie quanto alla pretesa formazione del silenzio-rifiuto sull’esposto del 4 novembre 2020 e, per l’effetto, dichiarata l’illegittimità del silenzio, ordina all’Amministrazione comunale (e, in via sostitutiva, al Commissario ad acta) di provvedere nei termini indicati in motivazione;

– nomina, quale Commissario ad acta, il Prefetto di Milano – con facoltà di delega ad un funzionario del medesimo ufficio –, che interverrà su richiesta del ricorrente solo dopo l’inutile decorso del termine assegnato all’Amministrazione comunale;

 

(1) v. Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2015 n. 5087; da ultimo, Cons. Giust. amm. Reg. Sic. 3 luglio 2020 n. 538 e TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 febbraio 2021 n. 859; v., in generale, anche Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 2019 n. 6519;

(2) v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2019 n. 206;

(3) v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020 n. 183.

Indice: 1. Silenzio della P.A. e repressione dell’abusivismo edilizio – 2. Il silenzio inadempimento e provvedimenti amministrativi generali – 3. Ipotesi  generalizzata dell’obbligo di provvedere di cui all’art. 2 della L. 241 del 1990 – 4. Silenzio e istanza di autotutela

 

  1. Silenzio della P.A. e repressione dell’abusivismo edilizio

La sentenza che si annota costituisce una importante decisione del Giudice amministrativo sia di carattere sostanziale  in relazione all’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, che processuale in relazione agli art. 31 e 117 c.p.a in materia di silenzio della P.A: di cui all’art. 2 della L. 241 del 1990.

La sentenza interviene nel ricorso giurisdizionale proposto dal un ente condominiale privato nei confronti del Comune di Milano. La vicenda ha un prodromo in un altro ricorso amministrativo giurisdizionale proposta dal medesimo condominio  ed accolto dal TAR Milano.

La vicenda può essere così riassunta: un ente condominiale ubicato nel centro cittadino di Milano, otteneva dal TAR lombardo la sentenza n. 2290 del 4 novembre 2019, ai sensi dell’art. 117 c.p.a. con la quale si dichiarava l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sull’esposto dell’Amministratore del Condominio circa l’abuso edilizio che si asseriva compiuto in una unità immobiliare collocata all’interno del condomino ricorrente. L’esposto mirava a vedere adottate le relative misure sanzionatorie e quindi rimosso il manufatto edificato sine titulo.

Più in particolare. il Giudice amministrativo, con la sentenza n. 2290/2019 aveva statuito che il Comune di Milano aveva l’obbligo di provvedere su detta richiesta, effettuando le dovute verifiche e determinandosi esplicitamente e motivatamente sull’istanza – in senso positivo o negativo che fosse – mentre il Comune di Milano si era limitato a comunicare di avere avviato gli accertamenti prodromici all’adozione delle misure sanzionatorie. Con la sentenza n. 2290/2019 il TAR, pertanto, accoglieva il ricorso statuendo che, allorché l’ente locale accerta la sussistenza dell’abuso edilizio, la pretesa del proprietario confinante si estende anche all’adozione dei provvedimenti repressivi prescritti dalla normativa in materia, a tale concreto risultato evidentemente riconducendosi il bene della vita tutelato in simili casi con il rito del “silenzio”, ovvero l’utilità finale al cui conseguimento legittimamente aspira chi patisce le conseguenze dannose dell’illecito edilizio.

Al proprietario di un immobile confinante con manufatti abusivi, la più recente giurisprudenza, attribuisce infatti la legittimazione a ricorrere alla procedura del silenzio – inadempimento, laddove abbia sollecitato inutilmente il Comune ad adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’ordinamento, essendo lo stesso titolare di una posizione giuridica qualificata gli consente di effettuare tale sollecito (sul punto v. Consiglio di Stato, sez. VI , 28/03/2019 , n. 2063, in Redazione Giuffrè 2019).

Successivamente alla emanazione della sentenza n. 2290/2019, il Comune di Milano adottava il provvedimento auspicato dal Condominio, ed ingiungeva ai responsabili dell’abuso la demolizione della “struttura metallica” realizzata senza titolo abilitativo, assegnando il termine di trenta giorni per provvedervi.

Stante la condotta inerte del responsabile dell’abuso edilizio, l’Amministratore del Condominio presentava un nuovo esposto all’Amministrazione comunale, in data 4 novembre 2020, con richiesta di “… assumere gli atti consequenziali alla mancata ottemperanza alla diffida a demolire P.G. 17424 del 13 gennaio 2020, e, per l’effetto, a procedere all’adozione della necessaria demolizione d’ufficio …”;

Il Comune di Milano non dava riscontro all’esposto del condominio interessato, il quale adiva nuovamente il Giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 31 e 117 cod.proc.amm., per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sull’esposto e per la conseguente richiesta di sua condanna a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni, anche con nomina di un commissario ad acta che intervenga in via sostitutiva.

Il TAR Milano, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso ed enunciava i principi di cui alle massime qui in commento. Più in particolare il TAR Milano osserva che il rimedio processuale regolato dagli artt. 31 e 117 cod.proc.amm. non è esperibile contro qualsiasi tipologia di omissione amministrativa perché restano esclusi dalla sua sfera applicativa gli obblighi di eseguire che richiedono, per il loro assolvimento, un’attività meramente materiale e non provvedimentale,

In primo luogo si deve osservare che la fattispecie del c.d. “silenzio-inadempimento” riguarda le ipotesi in cui, di fronte ad una formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l’Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussiste un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto nella sfera autoritativa del diritto pubblico.

“Presupposto per l’azione avverso il silenzio è, dunque, l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà) in capo all’Amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente” (cfr. sul punto Consiglio di Stato sez. III, 01/07/2020, n.4204).

Il Supremo Collegio, con la recentissima sentenza appena sopra richiamata ha specificato che tale principio deve essere così interpretato: “I presupposti per l’attivazione del rito sono dunque sia l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all’amministrazione, sia la natura provvedimentale dell’attività oggetto della sollecitazione: il rito previsto dagli artt. 31 e 117 c.p.a. rappresenta, infatti, sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell’obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2, L. n. 241 del 1990” (cfr. sul punto Consiglio di Stato sez. III, 01/07/2020, n. 4204).

In definitiva, non è sufficiente la notifica di una qualsiasi istanza ovvero di una diffida alla P.A. perché sorga per quest’ultima sempre un obbligo giuridico di pronunciarsi ma deve trattarsi della sollecitazione dell’esercizio di un obbligo di agire in via provvedimentale e non materiale. Ne consegue che qualora, ad esempio, si verta in tema di esecuzione di obblighi contrattuali, ancorché scaturenti da un contratto con evidenti connotati di diritto pubblico, quale può la convenzione urbanistica, siamo al di fuori della previsione di cui all’art. 31 c.p.a. non  vertendosi in materia di obblighi di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2, L. n. 241 del 1990.

La circostanza che le convenzioni urbanistiche rientrino nell’alveo degli accordi sostituivi o integrativi  di provvedimenti, ai sensi dell’art. 11 della L. 7 agosto 1990, n. 241, non muta la sostanza della conclusione. In detta materia, infatti, l’obbligo di provvedere di cui all’art. 2 della L. 241 del 1990 si riferisce esclusivamente all’istanza di adozione del Piano attuativo ed alla stipula della connessa convenzione urbanistica, atti questi che presuppongono da un lato la presenza di un potere provvedimentale in capo all’Amministrazione pubblica e dall’altro una posizione di interesse legittimo in capo al privato. Allorchè invece la convenzione urbanistica sia già stata stipulata, e si tratti di eseguire i relativi obblighi contrattuali, siamo al di fuori della potestà di agire in via provvedimentale del contrapposto interesse legittimo ed entriamo nell’ambito di veri propri diritti soggettivi. L’azione avverso il silenzio, infatti, è inammissibile allorché vengano in rilievo posizioni di diritto soggettivo, in relazione alle quali è categoricamente escluso il rimedio processuale del ricorso avverso il silenzio (T.A.R. Latina, (Lazio) sez. I, 10/07/2020, n.257). La ragione di tale inammissibilità è molto semplice: lo speciale procedimento giurisdizionale disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a. ha la finalità di conferire al privato un potere procedimentale, strumentalmente volto a rendere effettivo l’obbligo giuridico della P.A. di provvedere; tale strumento risulta, quindi, incompatibile con tutte quelle pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia, concernenti viceversa diritti soggettivi, la cui eventuale lesione è direttamente accertabile dall’autorità giurisdizionale.

Gli stessi principi appena esposti, se coniugati in tema di controllo sull’attività urbanistico/edilizia, determinano un obbligo di provvedere che non si può estendere, tuttavia, sino alla indicazione da parte del Giudice amministrativo della scelta di quale strumento sanzionatorio o repressivo l’Ente pubblico debba adottare. In questo senso la sentenza n. 724/2021 qui in esame è chiara allorché precisa che : la normativa in materia di vigilanza sull’attività urbanistico/edilizia riserva all’Amministrazione, anche in fase esecutiva, valutazioni discrezionali ulteriori circa l’attività necessaria al ripristino del corretto assetto urbanistico ed edilizio violato (v. TAR Lazio, Sez. II, 3 dicembre 2020 n. 12961). Sicché, conseguentemente, la stessa sentenza precisa che nella circostanza il Comune di Milano non è unicamente chiamato a svolgere attività materiali ma deve innanzi tutto assumere determinazioni che, nel dare séguito all’istanza del privato, realizzino il corretto esercizio dei poteri di cui l’ordinamento lo investe, così da portare a compimento il procedimento repressivo dell’abuso edilizio in questione.

Il proprietario di un’area o immobile confinante gode, quindi, di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività subendo gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà, onde egli è titolare di una posizione di interesse legittimo all’esercizio di tali poteri di vigilanza e, quindi, può proporre l’azione a seguito del silenzio ai sensi dell’art. 31 cod. proc. amm. (v. Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2015 n. 5087; da ultimo, Cons. Giust. amm. Reg. Sic. 3 luglio 2020 n. 538 e TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 febbraio 2021 n. 859; v., in generale, anche Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 2019 n. 6519 circa il fatto che il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e sull’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi, cit. in sentenza).

Pertanto, il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto, può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con il risultato che il silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2019 n. 2063).

  1. Il silenzio inadempimento e provvedimenti amministrativi generali

Ai fini dell’ammissibilità del rimedio avverso il silenzio inadempimento è necessaria la sussistenza di una situazione legittimante giuridicamente, qualificata e differenziata, che legittima la proposizione del rimedio in questione, che ha natura di interesse legittimo. In ambito amministrativo, il ricorso avverso il silenzio può, quindi, essere attivato dal soggetto interessato all’adozione di un determinato atto amministrativo e quindi da chi possa qualificarsi come destinatario degli effetti di esso ( v. Con. di Stato sez. III, 29/01/2021, n.870 in Redazione Giuffrè 2021). Ne consegue che difetta tale requisito laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa, anche laddove questa sia indirizzata all’adozione di atti rivolti a categorie di soggetti determinati, quali gli atti normativi, anche di rango regolamentare, che per la loro genericità e astrattezza vedono quali destinatari la collettività ovvero categorie di soggetti genericamente e astrattamente considerate (Cons. Stato, n. 4204/2020; 3863/2020, 8160/2019).

  1. Ipotesi generalizzata dell’obbligo di provvedere di cui all’art. 2 della L. 241 del 1990

Se è vero che lo speciale procedimento giurisdizionale in materia di silenzio della P.A. è, dunque, esperibile soltanto nel caso previsto dal comma 1 dell’art. 2 della L. 241 del 1990, ossia, come detto: “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio” ossia quando l’attività oggetto della sollecitazione abbia natura provvedimentale è anche vero che l’obbligo di provvedere sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020 n. 183). Si tratta, in definitiva, di una ipotesi generalizzata e non tipizzata; il TAR lombardo aderisce pienamente a questo ultimo orientamento, enunciando il principio di cui alla massima in epigrafe secondo cui: “L’obbligo di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso, sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano”.

  1. Silenzio e istanza di autotutela

Si deve infine, analizzare una ipotesi particolare, ossia l’istanza volta a sollecitare il potere di autotutela della P.A. Per costante orientamento del Consiglio di Stato (da ultimo, v. Consiglio di Stato sez. III, 06/10/2020, n. 5922), il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale della Pubblica amministrazione e non si esercita in base ad un’istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento della P.A..

La richiesta dei privati, rivolta all’Amministrazione, di esercizio dell’autotutela è, infatti, qualificabile come “denuncia”, con mera funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’Amministrazione alcun obbligo di provvedere (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 829 del 2018; Cons. Giust. Amm., 6 settembre 2017, n. 380; Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2016, n. 4642).

 

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