CONSIDERAZIONI POLEMICHE SUL CLIMA. E’ TUTTO VERO CIO’ CHE CI DICONO?

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Ing. Giuliano Ceradelli

Quando si parla di ambiente non si dovrebbe avere alcun dubbio da che parte stare, e cioè dalla parte della difesa e della preservazione del nostro pianeta a beneficio nostro e delle future generazioni.

A tal proposito, spesse volte di questi tempi mi capita di leggere articoli o di ascoltare trasmissioni che trattano della così detta “sostenibilità”, espressione oggi estremamente di moda ed anche abusata tanto che parrebbe non ci sia più nulla da dire sul tema perché ormai tutto è stato detto. Tutti sappiamo che solitamente “sostenibilità” si accompagna con l’affascinante ed evocativa locuzione postmoderna della Green Economy o del Green New Deal (GND), un patto nato qualche anno fa negli Stati Uniti, ma subito diffuso e quindi ben conosciuto anche alle nostre latitudini europee.

Qualche tempo fa mi ero imbattuto in un articolo sul Financial Times firmato da Martin Wolf (MW), editorialista storico di quella testata giornalistica. MW sosteneva che la democrazia liberale fosse fortemente indebolita da quella che definiva la politica “pluto-populista” attuata da quelli che lui chiama i rappresentanti del “demagogic authoritanian capitalism”. Una politica governata da pochi personaggi ricchi che, attraverso slogan demagogici e attraverso la creazione di pericoli presunti o esagerati, catturano le masse e le piegano ai propri interessi. Questi ultimi si insediano nella struttura della democrazia, tra le sue regole, le sue leggi, le sue istituzioni e sostituiscono ciò che c’era prima con il proprio punto di vista, il proprio interesse, la propria regola.

Uno dei campi in cui questa strategia è stata più applicata e dove ha trovato il più ampio riscontro è proprio quella della sostenibilità, propagandata dal movimento ecologista sulla scia della così detta “crisi climatica” (che un tempo andava sotto la dicitura di Riscaldamento Globale, poi Cambiamento Climatico ed ora “Crisi Climatica”).

In questo breve rapporto infatti parliamo solo di clima in senso stretto e non di inquinamento, che è tutt’altro argomento, che certo andrebbe combattuto più di quanto effettivamente si faccia e non solo a parole.

I legami tra i più grandi gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le corporation globali nell’attuale spinta verso una strategia climatica radicale per l’abbandono dell’economia basata sui combustibili fossili a favore di una vaga e generica economia verde, a quanto pare, non sono affatto dovuti ad un autentico sforzo per rendere il nostro pianeta un ambiente pulito e sano in cui vivere. Al contrario, è un programma strettamente connesso all’Agenda per il 2030/50 delle Nazioni Unite a favore di un’economia “sostenibile” e alla generazione di, letteralmente, trilioni di dollari di nuova ricchezza per le banche globali e i giganti finanziari, cioè i pluto-populisti di cui sopra, frequentatori assidui di Davos, che costituiscono i veri poteri in essere.

L’organizzazione denominata Climate Bonds Initiative (CBI), con gli oltre 500 miliardi di dollari investiti in obbligazioni ‘verdi’ afferma che il loro obiettivo è quello di conquistare una quota importante di quelle attività a livello mondiale, e ha preso l’impegno nominale di investire in progetti “rispettosi del clima.” Ma oltre al CBI, ce ne sono molti altri, tra cui molte banche centrali e prestigiose banche d’affari, oltre ai vari personaggi miliardari riportati puntualmente ogni anno sulla rivista americana Forbes.

Quando le multinazionali più influenti, i maggiori investitori istituzionali del mondo, tra cui BlackRock e Goldman Sachs, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, la Banca d’Inghilterra e le altre banche centrali del BIS si schierano a favore del finanziamento di una cosiddetta agenda verde, chiamatelo Green New Deal è tempo di guardare sotto la superficie delle campagne degli attivisti pubblici del clima e cercare le vere motivazioni. L’immagine che ne emerge è in realtà un tentativo di riorganizzazione finanziaria dell’economia mondiale usando il clima, qualcosa che il sole e la sua energia sono in grado di modificare su una scala di molti ordini di grandezza superiore a quanto potrà mai fare l’umanità, come pretesto per cercare di convincere la gente comune a compiere sacrifici incredibili, impoverendosi per “la salvezza del nostro pianeta.”

Qui non voglio certo travisare il concetto. In effetti non tutto il programma del Green New Deal è da osteggiare. Ci sono sicuramente delle iniziative positive, come ad esempio:

  • investire in tecnologie rispettose dell’ambiente, ma non certo in quelle a pannelli solari e pale eoliche, che rappresentano un ritorno al passato e che rischiano di distruggere l’ambiente invece di preservarlo (vedi FAI – Fondo Ambiente Italiano)
  • sostenere l’industria nell’innovazione
  • introdurre forme di trasporto privato e pubblico più pulite, più economiche e più sane, ma non certo con la mobilità elettrica che secondo studi autorevoli non solo non sono più economiche, ma nemmeno più sane perché inquinanti almeno come quella tradizionale – Secondo un recente studio di Arcadis, società globale di progettazione e consulenza urbana, anche i monopattini elettrici, almeno a livello di emissioni, non risultano affatto ecologici e contribuiscono al riscaldamento della terra al pari di una vettura con motore termico con 3 persone a bordo!
  • garantire il risparmio e una maggiore efficienza energetica degli edifici
  • collaborare con i partner internazionali per migliorare gli standard ambientali mondiali.

Tutte azioni necessarie e conseguibili a costi certamente sostenibili, continuando ad utilizzare le fonti fossili (energia abbondante, sicura e a costi contenuti) finchè le ancora abbondanti risorse naturali lo permetteranno (per decenni).

La ormai “famosa decarbonizzazione (su cui si incentra tutta l’architettura + l’indotto del GND) dovrebbe, alla luce dei fatti, considerarsi come la “più grossa bufala” del secolo.  Infatti non possiamo dire che la CO2 (antropica o naturale che sia) che è sicuramente un gas serra – condizioni il clima del nostro Pianeta. Sicuramente non è mai avvenuto in passato. Vedi ad esempio i periodi romano caldo e l’optimun climatico medievale (Groenlandia, un tempo “terra verde”) con livelli di CO2 sempre – per 800,000 anni – al di sotto della soglia di concentrazione dello 0.028% (Luca Mercalli),…. eppure faceva più caldo di oggi. Non si vede quindi come solo negli ultimi 150 anni sia emersa l’influenza della CO2 sul clima, a meno che le leggi della Natura siano nel frattempo cambiate.

(Popper – Criterio di falsificabilità – afferma che una teoria, per essere controllabile, perciò scientifica, deve essere “confutabile”: in termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che, qualora la teoria sia errata, ne possa dimostrare integralmente tale erroneità alla prova dei fatti)

La demonizzazione delle emissioni di CO2 che, secondo la vulgata ambientalista, oltre che a mandarci arrosto e provocare disastri immani, è pure ritenuta “inquinante”, quando non lo è, ma cibo per le piante, è diventata la “bolla verde”, della finanza mondiale con i soldi dei contribuenti e delle banche centrali. La nuova bolla si chiama infatti “finanza verde”.

La conferenza COP21 di Parigi del dicembre 2015 è stata uno spartiacque per la politica della Finanza Verde. L’IIF (Institute of International Finance – Associazione Mondiale degli Istituti Finanziari) raccomanda che il sistema di classificazione della finanza così detta “sostenibile” non lasci alle imprese altra scelta se non quella di impegnarsi nella Green Economy. La prospettiva che offre alle imprese manifatturiere e alle aziende di ogni genere è: o si diventa verdi o si muore.

Gli attuali massicci programmi per esempio di costruzione di parchi solari ed eolici e di nuove reti elettriche per collegarli sono sempre accompagnati da proposte di nuove pesanti tasse, sul “carbonio” (carbon tax) – cioè sulla produzione di carbone e petrolio, la produzione di acciaio degli altiforni, motori a benzina e a combustione interna, ecc.
Il miliardario Michael Bloomberg, campione del Green New Deal, concede sovvenzioni verdi attraverso la sua fondazione, compresa una per “inverdire” Georgetown, una cittadina di 70 mila abitanti nel Texas, che però, saggiamente, l’ha restituita al mittente.
Come a Georgetown, la base del Green New Deal è sempre stata la stessa dal 2006:

  • Interrompere la produzione di energia elettrica basata sul carbone, sul petrolio, sul nucleare e, in larga misura, sull’energia idroelettrica;
  • Sostituire il tutto, in qualche modo, con parchi solari ed eolici e sistemi di energia geotermica;
  • Costruire nuove reti elettriche per trasferire questa energia dalle zone desertiche, montane e rurali dove viene generata.

I sostenitori di questo schema devono affrontare il fatto scomodo che le fonti di energia intermittente che propongono devono essere supportate (back-up) dalla “potenza di riserva” prodotta con il gas naturale, un combustibile fossile, promettendo al contempo che le scoperte nel campo dello “stoccaggio dell’energia” con batterie enormi, costose ed inquinanti, un giorno sostituiranno le turbine a gas naturale.
La risposta parziale è che le tecnologie solari ed eoliche sono molto al di sotto del nucleare o addirittura del carbone, in termini di efficienza energetica, densità di potenza, affidabilità e vita utile. Il solare e l’eolico richiedono nuovi sistemi di immagazzinamento dell’energia con le batterie di cui sopra. Richiedono una nuova rete elettrica, perché sono generati a grandi distanze dai centri industriali, dalla vita urbana, cioè dai centri di consumo, con ulteriori costi per costruire i grandi parchi solari ed eolici, inghiottendo centinaia di volte più spazio delle centrali convenzionali o nucleari che producono in modo affidabile e costante la stessa energia elettrica in prossimità dei centri di consumo.

Per non parlare dell’idrogeno di cui scriveremo prossimamente.

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