La deroga del principio di distinzione tra politica e burocrazia nel rapporto tra assessore e dipendenti nei piccoli Comuni

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Avv. Lorenzo Camarda*

Una delle principali novità portate dalla riforma delle autonomie locali inaugurata dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, sino dalla sua prima scrittura, si configura nella distinzione dei poteri tra gli organi di governo (Consiglio, Sindaco, Giunta) a cui competono le scelte strategiche (indirizzi) dell’ente civico e la burocrazia cui compete realizzare, sotto il profilo tecnico, gli obiettivi contenuti in tali indirizzi. In questo modo si è inteso creare a favore dei dirigenti una fascia di autonomia e responsabilità che li renda impermeabili alle vicende politiche dovute all’alternarsi delle Amministrazioni di vario colore nel medesimo Comune.[1]

La linea di confine tra le due sfere di poteri, nel corso dei lustri che ci separano dalla prima scrittura della legge di riforma, si è assottigliata ed, in alcuni casi, persino apparentemente sovrapposta. Prospettiva che si configura, come deroga del principio, nella norma prevista per i Comuni con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti per i quali viene disposto che l’assessore possa assumere la responsabilità degli uffici e dei servizi ed adottare atti anche di natura gestionale. [2] Il legislatore tempera questo “scavalcamento di confini” esigendo che l’opzione sia esercitabile per gli assessori, allorquando prevista da una norma regolamentare. Fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 97, comma 4, lettera d) TUEL secondo il quale il Segretario comunale, in ogni caso, possa “esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo Statuto, dai regolamenti o conferitogli dal Sindaco”. Nonostante quest’ ultima riserva mitighi la portata della norma e, di fatto, limita la sua applicabilità, il principio della distinzione dei poteri subisce, a parere di chi scrive, un vulnus che la giurisprudenza attenua solo parzialmente. Sul punto interviene una decisione del Consiglio di Stato che, nel tentativo ricondurre la questione ad una eccezione, evidenzia che il legislatore ha circoscritto l’esercizio dell’opzione di ricorrere agli assessori per ricoprire le posizioni di responsabilità degli uffici comunali si riferisce al singolo assessore, non già alla Giunta come organo collegiale e di governo “Si tratta, infatti, di una norma che non solo conferma il carattere eccezionale delle deroghe al regime ordinario e l’esigenza della loro assunzione con specifico strumento legislativo, ma che si rivolge solo ai piccoli Comuni e che non rimette alla Giunta, ma solo ai suoi componenti, l’espletamento, uti singuli e non, quindi, in sede collegiale, di compiti normalmente alla dirigenza.”[3]

L’orientamento giurisprudenziale, chiaro nel riferimento all’ambito di applicazione e ai soggetti coinvolti, non convince quando si avventura a sostenere le motivazioni fornite dal legislatore per giustificare l’eccezionalità della norma. In primis perché la norma, che novella l’articolo 53, comma 23, legge 388/2000, estende (senza motivazione, l’opzione de qua riservata precedentemente solo ai Comuni con una popolazione inferiore a 3.000 abitanti) l’eccezione ai Comuni con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti.[4] Ulteriormente, la stessa novella abroga la norma precedente nella parte in cui era espressamente previsto che l’opzione poteva essere esercitata allorquando i Comuni interessati riscontrassero e dimostrassero annualmente “la mancanza non rimediabile di figure idonee nell’ambito dei dipendenti”. Tale precondizione appariva sufficientemente legittimante perché destinata ad un numero di Comuni più ristretto e nelle condizioni di accertata difficoltà di bilancio e di carenza di personale professionalmente qualificato (in particolare per i Comuni c.d. polvere), ma ancor più perché la precondizione dell’ esercizio dell’opzione era annualmente monitorata e sussistente per il periodo dello stato di necessità. L’abrogazione di questa precondizione ad opera della novella portata dall’art. 29, comma 4, della legge 448/2001, risulta, pertanto, sospetta di una strisciante aggressione al principio di distinzione dei poteri tra le due sfere. Comunque il solo residuo contenimento del bilancio per le spese del personale, a parere di chi scrive, non pare in linea con il principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. che costituisce uno dei principali cardini su cui ruota l’intero impianto della riforma delle autonomie locali (l.142/1990) da cui origina il TUEL. Ciò che preoccupa non è l’avvertita necessità di ridiscutere la validità di talune norme del TUEL la cui criticità è sotto gli occhi di tutti gli addetti ai lavori, bensì il metodo “barbaro” di mettervi mano da parte di un legislatore che trova sponda, talvolta, nella giurisprudenza. Infatti dall’evoluzione legislativa si riscontra che la sola motivazione gestionale che legittima il ricorso all’opzione di ricorrere agli assessori per dirigere parte degli uffici comunali, nei Comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, sia una questione di economia di spesa per il costo del personale. Argomentazione confermata dalla stessa giurisprudenza “In sostanza, le esigenze di contenimento dei bilanci, almeno nei Comuni di più modeste dimensioni, possono oggi nuovamente comportare quella commistione fra politica e amministrazione, il cui superamento, ha invece rappresentato un principio cardine delle riforme degli anni ‘90” [5]

In conclusione si riconosce che sussistono, all’interno dell’ordinamento comunale, delle criticità che vanno rimosse. Tra queste emerge anche la necessità di calibrare meglio i rapporti di potere tra sfera politica e sfera burocratica, specie in riferimento ai c.d. piccoli Comuni (che non necessariamente devono essere intesi quelli con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti). La questione, peraltro, non è nuova ed è già stata oggetto di discussione in sede di prima scrittura della legge 142/1990, dove prevalse l’impianto attuale. Ciò che si contesta è il metodo utilizzato dal legislatore per introdurre novità forti con strumenti deboli, incurante del disorientamento che produce all’interno delle Amministrazioni locali più piccole e meno attrezzate a farvi seriamente fronte.

* Avvocato del Foro di Vicenza e autore di opere giuridiche, tra le quali il recente “Gli organi del Comune”, Key editore.

[1] Virga Pietro, L’Amministrazione locale, Milano, Giuffré, 1991.

[2] art. 53, comma 23, legge 23 dicembre 2000, n.388, come novellato dall’art. 29, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448.

[3] Consiglio di Stato, Decisione, Sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6723; TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, n. 9545/ 2008

[4] In Italia ci sono 5.495 Comuni con una popolazione inferiore a 5.000 abitanti che rappresentano circa il 70% dei complessivi circa 8.000 abitanti (dati ISTAT 2019)

[5] TAR Campania-Napoli, Sez. V, 22 ottobre 2003, n. 13054

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