Decreto rilancio e disciplina sanzionatoria della falsità in dichiarazioni sostitutive di certificazioni o dell’atto di notorietà

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Avv. Emmanuele Serlenga

Il Decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, meglio noto come Decreto Rilancio, nell’ottica di far ripartire il paese ha dettato anche delle previsioni in ordine alla liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all’emergenza COVID-19.

Tali previsioni hanno, per lo più, un orizzonte temporale limitato sino alla fine del 2020.

La prima di esse è l’art. 264, che si propone di favorire la: “Liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all’emergenza COVID-19”.

In particolare, il comma I della lettera a) della norma dispone che: “Nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni, da parte di pubbliche amministrazioni, in relazione all’emergenza COVID-19, le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, anche in deroga ai limiti previsti dagli stessi o dalla normativa di settore, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

Si tratta dunque di una misura di semplificazione che amplia la possibilità da parte dei privati di presentare dichiarazioni sostitutive, in tutti i procedimenti che hanno ad oggetto benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni, da parte di pubbliche amministrazioni in relazione all’emergenza COVID-19.

Ne consegue che, in virtù di tale disposto, le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà previste rispettivamente dagli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, anche in deroga ai limiti previsti dagli stessi o dalla normativa di settore, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione previste dal D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

È di palmare evidenza il rischio che una siffatta tipologia di semplificazioni renda più semplice il lavoro ai c.d. “furbetti” che vogliano approfittare delle prestazioni di cui sopra, senza tuttavia averne diritto.

Il legislatore si è posto il problema e ha inteso affrontarlo con la lettera a) del comma II del medesimo art. 264, il cui numero 1) dispone che: “Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione in misura proporzionale al rischio e all’entità del beneficio, e nei casi di ragionevole dubbio, sulla veridicità delle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47, anche successivamente all’erogazione dei benefici, comunque denominati, per i quali sono rese le dichiarazioni”.

Soprattutto, appare d’interesse il quadro sanzionatorio a carico di chi, all’esito di tali controlli o in qualunque altro caso, venisse scoperto aver compilato autocertificazioni false.

Il comma 2 lettera a) numero 3 della norma in commento aggiunge all’art. 76 del DPR 445/2000 il seguente periodo finale: “La sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà.”

Si tratta dunque di una norma che non ha carattere transitorio, per cui l’aggravamento delle pene in caso di autocertificazioni false destinate alla pubblica amministrazione durerà nel tempo, anche terminata l’emergenza COVID 19 e si applicherà all’intero ambito delle autocertificazioni, dunque anche al di fuori di quelle attualmente previste dalla normativa emergenziale.

 La disposizione in commento, come detto, va ad aggiungersi all’art. 76 del DPR 445/2000, il quale dispone che: “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso (…) è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”, rimandando dunque alla disciplina prevista dagli artt. 476ss C.P. per i reati di falso.

Brevemente:

  • L’art. 476 C.P. (Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) punisce il pubblico ufficiale che formi un atto falso o alteri un atto vero con la reclusione da uno a sei anni, che sale da tre a dieci qualora l’atto faccia fede fino a querela di falso;
  • L’art. 477 C.P. (Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative) sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità;
  • L’art. 478 C.P. (Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti) punisce Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, supponendo esistente un atto pubblico o privato, ne simula una copia e la rilascia in forma legale, oppure rilascia una copia di un atto pubblico o privato diversa dall’originale con la reclusione da uno a quattro anni, che sale a da tre a otto se l’atto fa fede fino a querela di falso.

L’art. 482 C.P. estende l’efficacia delle predette disposizioni anche al privato, anche se ne riduce la pena di un terzo.

Si tratta di un reato per la cui integrazione è richiesta la sussistenza del dolo specifico:

 “In tema di reato p. e p. dalla norma di cui all’art. 482 c.p., in relazione alla norma di cui all’art. 476 c.p., l’elemento soggettivo consiste nella piena coscienza e volontà di realizzare un atto falso” (Tribunale di Firenze, 3/5/2017, che ha scrutinato un’ipotesi di falsa attestazione di deposito da parte di un privato presso l’Ufficio regionale per la tutela del territorio di un progetto di ristrutturazione edilizia).

Per completezza, si rimarca come esistano altresì le categorie del falso grossolano e del falso innocuo, di creazione giurisprudenziale, le quali escludono la configurabilità del reato.

 Il falso grossolano: «è quello che si presenta così evidente da risultare inidoneo ad ingannare chicchessia», ed è «inoffensivo rispetto al bene della fede pubblica proprio per l’inidoneità (…) a trarre in inganno la collettività» (Cass. pen., Sez. unite, n. 46982/2007); esso è tanto macroscopico, da risultare riconoscibile ictu oculi, ovvero in base ad una mera disamina dell’atto, per la generalità della persone, senza che occorra possedere particolari cognizioni tecniche, ovvero essere particolarmente diligenti (Cass. pen., Sez. II, n. 5687/2013; Cass. pen. Sez. VI, n. 18015/2015).

Il falso innocuo o falso inutile si verifica: “Quando la falsificazione determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto non modificandone il senso. In altri termini il falso è innocuo quando l’attestazione infedele nel falso ideologico ovvero l’alterazione nel falso materiale non esplicano effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso” (Cass. Sez. V, Sentenza 29 maggio 2019 n. 23891 che ha considerato falso non innocuo quindi rilevante la condotta del pubblico ufficiale che, nel redigere il verbale di sottoposizione ad una misura cautelare attesti falsamente la partecipazione all’atto, nella qualità di coautori, di altri pubblici ufficiali in realtà assenti).

È dunque in questa cornice che si applica la disposizione sopra richiamata del Decreto Rilancio che prevede l’aumento di pena da un terzo alla metà per le autocertificazioni false.

La dottrina, in attesa della conversione del Decreto Rilancio, ha iniziato a interrogarsi se quella in esame sia una circostanza aggravante dei predetti reati di falso oppure configuri un’autonoma fattispecie di reato.

A nostro giudizio, la prima opzione si lascia preferire.

Infatti, l’espressione utilizzata dal legislatore: è aumentata da un terzo alla metà” è quella normalmente adoperata per indicare una circostanza aggravante, per cui si ritiene meglio rispondente al dettato normativm considerare la norma in commento, per l’appunto, alla stregua di una circostanza aggravante, che dunque può concorrere, nel bilanciamento di circostanze operato dal giudice ai sensi dell’art. 69 C.P., con altre aggravanti e/o con attenuanti.

Si attende comunque quella che sarà l’opinione giurisprudenziale al riguardo, qualora tale norma venisse mantenuta nel suo assetto attuale anche in sede di conversione del decreto.

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