Cass. Civ., sez. II, ord., 16 maggio 2019, n. 13224

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Cass. Civ., sez. II, ord., 16 maggio 2019, n. 13224

[Omissis].

FATTI DI CAUSA

[…] conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torino – Sezione Distaccata di Moncalieri, l’IMPRESA EDILE […], proponendo opposizione al decreto ingiuntivo avente a oggetto il pagamento della somma di euro 28.861,78, portata da fattura inerente lavori di costruzione di un fabbricato sito in […]. Assumeva l’opponente di non aver mai avuto rapporti con detta società e di non aver mai ordinato o appaltato lavori alla stessa.

Si costituiva in giudizio l’impresa edile contestando l’opposizione e assumendo essere di proprietà dell’attore l’immobile in cui erano stati effettuati lavori, e che le opere erano state commissionate anche dal padre dello stesso, […], che aveva agito in nome e per conto del figlio e che era da ritenersi obbligato al pagamento nel caso non lo fosse l’attore.

Chiedeva pertanto l’autorizzazione a chiamare in causa […], che si costituiva in giudizio eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, la mancata prova del contratto di appalto e l’infondatezza nel merito della domanda proposta nei suoi confronti.

Espletata CTU e prova testimoniale, il Tribunale di Torino, Sezione Distaccata di Moncalieri, con sentenza del 27 febbraio 2010 — ritenuta fondata l’opposizione, essendo stato dimostrato che il rapporto contrattuale era intercorso tra la società convenuta e il terzo chiamato […], ed essendo emerso tramite CTU il valore delle opere eseguite e di quelle extra-contratto e di quelle non eseguite —  revocava il decreto ingiuntivo e condannava il terzo chiamato al pagamento della somma di euro 18.746,18, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Le spese di giudizio venivano compensate tra l’opponente e la società opposta, mentre venivano compensate tra il terzo chiamato e l’opposta nella misura del 40% e poste a carico di […] nella misura del 60%. Le spese di CTU erano poste a carico del terzo chiamato.

Avverso detta sentenza proponeva appello […], chiedendone la riforma in ragione:

a) dell’omessa pronuncia sull’eccezione di inesigibilità del credito e difetto di prova della consegna e accettazione dei lavori, ai sensi dell’art. 1665 c.c., atteso che le missive e le richieste di pagamento erano sempre state inviate al proprio figlio […];

b) della acritica adesione, da parte del Tribunale, ai criteri di calcolo effettuati nella CTU e della errata valutazione delle opere contrattualmente pattuite (atteso che il contratto concluso tra le parti era un appalto a misura, per un corrispettivo di Lire 147.790.000; e che la società appellata aveva tuttavia eseguito opere soltanto per un valore pari a euro 52.880,02, mentre le opere non eseguite ammontavano a euro 25.810,30). Concludeva chiedendo che venisse respinta ogni domanda proposta nei suoi confronti, con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.

L’appellata si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. Restava contumace […].

Con sentenza n. 1040/2014, depositata il 28 maggio 2014, la Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello confermando la sentenza gravata e condannando l’appellante alle spese del grado.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione […] sulla base di due motivi di impugnazione; l’intimata Impresa Edile […] non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1665, 1662 e 2967 c.c.”, in quanto la Corte di merito ha rigettato il primo motivo di appello (riguardante l’eccepita omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di prova della consegna e accettazione dei lavori, ai sensi dell’art. 1665 c.c.), basandosi su una equiparazione tra i pagamenti effettuati in corso d’opera a titolo di acconto (“man mano che i lavori venivano eseguiti”) e l’accettazione dei lavori.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c.”, poiché la Corte di merito valutava assai sinteticamente il secondo motivo di impugnazione, risolvendolo nel senso che la CTU appariva ben motivata ed esente da vizi logici e giuridici, avendo tenuto conto anche delle osservazioni dei consulenti di parte, laddove la contestazione sollevata dall’appellante – odierno ricorrente ineriva non al fondamento astratto delle risultanze della CTU, bensì al criterio da assumere per la liquidazione delle pretese della società appaltatrice, cioè i corrispettivi richiesti dall’appaltatore non dovevano essere considerati ai valori di tariffa o di mercato, ma liquidati in base a quei valori predeterminati tra le parti, in forza di quella base contrattuale, oggi coperta dal giudicato, costituita dal preventivo formulato dall’Impresa […] ed accettato dal […].

2. – Il primo motivo è fondato.

2.1. – La Corte di merito, quanto al primo motivo d’appello, ha affermato non esservi “alcun dubbio sul fatto che i lavori appaltati siano stati, quantomeno per facta concludentia, accettati dall’appellante, atteso che è dimostrato e non contestato che egli, man mano che i lavori venivano eseguiti, corrispondeva somme a titolo di acconto all’impresa”.

L’assunto manifesta un errore di diritto. Infatti, per parlarsi di accettazione tacita dell’opera, occorre che il committente accetti senza riserve la consegna dell’opera oppure compia un atto che presupponga necessariamente la volontà di accettarla e che sarebbe incompatibile con quella di rifiutarla.

In tema di appalto, l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4 prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la “ricezione senza riserve” da parte di quest’ultimo anche se “non si sia proceduto alla verifica” (Cass. n. 7260 del 2003; nonché Cass. n. 19019 del 2017; Cass. n. 15711 del 2013; Cass. n. 7057 del 2004; cfr. altresì Cass. n. 11349/2004, secondo cui bisogna distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera: la “consegna” costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre la “accettazione” esige, al contrario, che il committente esprima — anche per facta concludentia —  il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo).

Nella fattispecie, il mero riferimento da parte della Corte distrettuale ai pagamenti (eseguiti dal committente a titolo di acconto, sulla base dell’avanzamento dei lavori) non risulta idoneo, in sé, a supportare l’assunto (che, pertanto, si configura come apodittico) della sussistenza della intervenuta accettazione tacita dell’opera, neppure per facta concludentia, in assenza altresì di qualunque richiamo ad una effettiva consegna dell’opera medesima.

2.3. – L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo.

3. – Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo. La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, altra sezione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

[Omissis].

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