Cassazione Civile, Sez. Un., 4 novembre 1996, n. 9523

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in cancelleria il 7 febbraio 1994, il Tribunale di Rieti rigettava l’appello proposto da alcuni lavoratori [N.d.a.] avverso la decisione del locale Pretore, che ne aveva disatteso le domande dirette ad ottenere, nei confronti della Regione Lazio – Ispettorato ripartimentale delle foreste di Rieti, l’accertamento della sussistenza di altrettanti rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, previa declaratoria di illegittimità dei termini finali ad essi apposti e dei licenziamenti intimati alla scadenza dei medesimi, nonché la condanna dell’ente convenuto alla loro reintegrazione in servizio ed al ristoro danni, ai sensi della legge 300 del 1970.

I giudici del gravame, pregiudizialmente, negavano la nullità dell’appello, eccepita sul rilievo del difetto di autonome conclusioni, che risultavano, invece, formulate per relationem all’atto introduttivo del giudizio. Osservavano, in particolare, al riguardo che l’amministrazione appellata non aveva subito 1 alcun pregiudizio del suo diritto di difesa a causa del lamentato difetto, poiché l’attiva partecipazione alla pregressa fase processuale le consentiva piena conoscenza di codeste conclusioni.

Ritenevano, poi, soggetta alla giurisdizione ordinaria la sopra esposta domanda„ avente ad oggetto un rapporto di lavoro subordinato di natura privatistica, quale derivava da avvenuta assunzione per il tramite dell’ufficio di collocamento con chiamata numerica; dalla natura delle mansioni svolte (consistenti nella coltivazione di piante per la vendita a terzi), estranee ai compiti istituzionali dell’ente; dalla regolamentazione del rapporto esclusivamente sulla base della disciplina collettiva per i lavoratori idraulico – forestali (come sostenuto dagli appellanti) ovvero per gli operai agricoli florovivaisti (come sostenuto dall’appellata).

Nel merito, ritenevano che i contratti di lavoro de quibus dovevano ritenersi nulli, in quanto privi della forma scritta ad substantiam, della quale avrebbero, invece, dovuto rivestirsi, per essere stati stipulati da una Pubblica amministrazione. Escluso che detta forma fosse surrogabile dalla richiesta di avviamento al competente ufficio, discendeva dalla ritenuta nullità che, fermo il disposto dell’art. 2126 ai fini della tutela delle prestazioni di fatto ormai svolte, risultava inapplicabile la disciplina limitativa del potere di recesso del datore di lavoro, per difetto del relativo presupposto, consistente nella sussistenza di un valido contratto di lavoro.

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono, in via principale, i summenzionati lavoratori, che hanno anche depositato una memoria illustrativa; ed in via incidentale e condizionata, la Regione Lazio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I lavoratori ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1418 e 1421 c.c., 1 e 2 della legge n. 230 del 1962, 23 della legge n. 56 del 1987, ultrapetizione e vizi di motivazione, osservano che:

  • per la stipulazione del contratto di lavoro nessuna norma prevede la forma scritta ad substantiam, onde erroneamente è stata dichiarata la nullità in questione; per iscritto doveva, invece, essere stipulata la clausola di durata, talché l’inosservanza di questa forma viziava non già i relativi contratti, ma semplicemente la clausola stessa, con la conseguenza che i rapporti di lavoro dovevano ritenersi a tempo indeterminato;
  • in ogni caso, il rilievo della nullità dell’intero contratto, essendo avvenuto di ufficio, è viziato da ultrapetizione;
  • contraddittoriamente il Tribunale, da un lato, riconosce, ai fini dell’affermazione della propria giurisdizione, la natura privatistica dei contratti di lavoro, per la loro estraneità ai compiti istituzionali dell’ente resistente e, dall’altro, nega l’applicabilità della disciplina di cui alla legge n. 230 del 1962, sul rilievo tutte di vincoli che condizionano soltanto le attività svolte dalle pubbliche amministrazioni in relazione a compiti siffatti.

La Regione Lazio, col suo ricorso incidentale condizionato, ripropone, come primo motivo, la questione di giurisdizione, lamentando che il Tribunale abbia ritenuto, in modo apodittico e senza alcun accertamento, l’estraneità ai fini istituzionali di essa ricorrente dell’attività di semina e coltivazione di piante.

Col secondo motivo insiste sull’eccezione di nullità dell’appello, in quanto la formulazione delle relative conclusioni con un mero richiamo a quelle di primo grado, rendeva l’atto inidoneo a rappresentare in modo autosufficiente l’esatta portata del thema decidendum.

Il ricorso incidentale, sebbene condizionato, è da esaminare per primo, per il rilievo pregiudiziale disp. att. c.c.  delle questioni con esso sollevate e, in particolare, di quella di giurisdizione.

Invero, dopo iniziali e lontane incertezze in materia, costituisce, ormai, jus receptum che il ricorso incidentale per cassazione della parte totalmente vittoriosa nel merito, ancorché condizionato, deve essere esaminato in via prioritaria quando investa la questione della giurisdizione, che sia stata espressamente affermata dalla sentenza impugnata, non potendo la contestazione del potere decisorio del giudice, siccome carente di giurisdizione, essere condizionata al risultato della lite, dato chela valutazione del merito postula pur sempre l’esercizio dello stesso potere decisorio che con il ricorso incidentale s’intende contestare, senza che, in presenza dell’impugnazione principale concernente il merito, sia carente l’attuale interesse all’impugnazione della statuizione concernente la giurisdizione e così il correlativo dovere del giudice di pronunciare al riguardo (v., ex plurimis, Cass. 24 settembre 1994, n. 7849; Id., 20 gennaio 1993, n. 649; Id., 23 dicembre 1991, n. 13862; Id. 13 novembre 1991, n. 12112).

Del detto ricorso incidentale, tuttavia, le controparti eccepiscono l’inammissibilità, assumendo che nella specie l’Avvocatura dello Stato è priva dello jus postulandi, non avendole la Regione attribuito il proprio patrocinio e non essendo stata dallo stesso ente emessa la necessaria deliberazione consiliare, richiesta dall’art. 10 della legge 3 aprile 1979, n. 103.

L’eccezione è infondata.

Il quadro normativo di riferimento è delineabile come segue.

Secondo l’art. 107 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616: […].

Successivamente l’art. 10 della l.3 aprile 1979, n. 103 ha stabilito che: […].

Di qui la questione se la norma di cui all’art. 107 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 sia stata abrogata dall’art. 10 l.3 aprile 1979, n. 103.

Queste Sezioni Unite, già con sentenza 15 marzo 1982, n. 1672, hanno escluso che l’art. 107, c. 3, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 sia stato abrogato, per incompatibilità, dall’art. 10 della legge 3 aprile 1979, n. 103.

Hanno, in particolare, rilevato che non sussiste una tale incompatibilità poiché il legislatore del 1979 non ha disciplinato ex novo ed in maniera completa tutta la materia del patrocinio delle regioni a statuto ordinario, ma ha inteso solo attribuire ad esse, in aggiunta alle facoltà consentite dall’art. 107 d.p.r. n. 616 del 1977, l’ulteriore e più ampio potere di rendere operativa in loro favore l’estensione del complesso delle norme speciali dettate per l’assistenza legale e la difesa in giudizio dello Stato.

Ed in effetti, l’art. 107 del d.p.r. n. 616 del 1977 e l’art. 10 della legge n. 103 del 1979 si collocano su piani diversi.

Le funzioni dell’Avvocatura dello Stato possono svolgersi secondo due diversi regimi giuridici. Il primo, originariamente proprio delle sole amministrazioni dello Stato (titolo I del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 t.u. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato), ha come sua peculiare caratteristica la collocazione dell’intervento in giudizio dell’organo legale dello Stato nell’ambito di un sistema di norme processuali speciali, comportante modifiche della disciplina ordinaria riguardo, oltre che al titolo di legittimazione all’esercizio dello jus postulandi, alla competenza per territorio (art. 25 c.p.c.: foro della pubblica amministrazione) ed alla notifica degli atti giudiziari (art. 144 c.p.c.: notificazione alle Amministrazioni dello Stato). Il secondo, tipico, in genere, del patrocinio delle amministrazioni non statali (titolo III del t.u. n. 1611 del 1933), non comporta, invece, alcuna modifica della disciplina processuale ordinaria, salva soltanto l’esclusione della necessità della procura alle liti (art. 45 cit. t.u.), onde l’assunzione del patrocinio da parte dell’Avvocatura non s’inserisce come elemento di un più complesso sistema di norme processuali speciali.

Orbene, mentre l’art. 107 del d.p.r. n. 616 del 1977 si limita ad includere le Regioni a statuto ordinario fra gli enti dei quali l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa secondo il regime di cui agli artt. 43, 45 e 47 del t.u. n. 1611 del 1933, e cioè alla stregua del secondo dei due regimi processuali su indicati, l’art. 10 della legge n. 103 del 1979 prevede un particolare procedimento attraverso il quale le Regioni a statuto ordinario (uniche fra tutti gli enti del pubblici) possono ottenere l’applicazione dell’intero regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio valevole ex lege per le amministrazioni dello Stato.

Mentre la norma più antica, nell’attribuire il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato delle Regioni a statuto ordinario, lo inquadra nell’ambito del regime delle amministrazioni non statali, con soggezione alla suddetta disciplina ordinaria del processo —  l’art. 10 configura una norma di completamento e chiusura del sistema, nel senso che il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, attribuito alle Regioni a statuto ordinario, debba essere inquadrato (sia pure soltanto per effetto di specifiche deliberazioni a tal fine adottate dalle amministrazioni regionali) nell’ambito del regime proprio delle amministrazioni statali (dovendosi coordinare l’organizzazione amministrativa delle Regioni con quella dello Stato, nell’unità dell’ordinamento amministrativo generale: cfr. C. Cost. 20 aprile 1968, n. 30). Esso, in altre parole, non si limita a facultare le Regioni a statuto ordinario ad avvalersi dell’assistenza legale e del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (risultato già conseguito dall’art. 107 cit.), ma disciplina le modalità con le quali può essere ad esse estesa la normativa sui rapporti fra le amministrazioni statali e l’Avvocatura, nonché sulla posizione dello Stato in giudizio, in quanto “le funzioni dell’Avvocatura dello Stato, nei riguardi dell’Amministrazione statale”, alle quali fa riferimento il comma 1, non si esauriscono nello jus postulandi nei confronti dei terzi, ma comprendono tutti i vincoli istituzionali che individuano la reciproca posizione delle amministrazioni e dell’organo legale dello Stato; onde lo jus postulandi, già attribuito dall’art. 107, è semplicemente presupposto dall’art. 10, che ne prevede la possibile evoluzione verso l’inquadramento in una diversa e ben caratterizzata configurazione di rapporti istituzionali.

In ordine alle Regioni a statuto ordinario —  contrariamente a quanto accadde per quelle a statuto speciale, cui specifiche norme (art. 1 del d.l. 2 marzo 1948, n. 142 per la Sicilia; art. 55 del D.P.R. 19 maggi 1949, n. 250 per la Sardegna; art. 42 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 per il Trentino Alto Adige; art. 1 del D.P.R. 23 gennaio 1965 n. 78 per il Friuli Venezia Giulia) estendono direttamente il regime processuale dello Stato, non consentendo la contemporanea utilizzazione del patrocinio della Avvocatura secondo la disciplina di cui all’art. 43 del t.u. n. 161 (NDR: così nel testo) del 1933 – deve, quindi, riconoscersi che, fino all’intervento del provvedimento della Regione strumentale al fine del loro assoggettamento al regime processuale dello Stato, l’art. 10 non è d’ostacolo all’applicazione dell’art. 107 che consente il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, senza deroghe —  salva l’eccezione sopra indicata —  alla disciplina processuale ordinaria.

Invero, l’art. 10, disciplinando gli effetti tipici dell’adozione della delibera di estensione del regime processuale dello Stato, resta assolutamente indifferente rispetto alla posizione delle Regioni a statuto ordinario in giudizio ed al loro patrocinio prima e indipendentemente da tale delibera; ciò in quanto soltanto dopo l’adozione della cennata delibera il regime applicabile è quello dello Stato.

Pertanto, non può ravvisarsi nell’art.10 (che si adegua alla particolare posizione di autonomia, attribuita dall’ordinamento giuridico, alle Regioni) un ostacolo (per intervenuta abrogazione tacita) all’applicazione dell’art. 107 alle Regioni a statuto ordinario che non abbiano adottato la suddetta delibera, ma la norma di previsione di uno schema di patrocinio definibile come “sistematico”, per distinguerlo sia da quello “facoltativo”, istituito, come si è detto, dall’art. 107, terzo comma, del d.p.r. N. 616 del 1977, sia da quello “obbligatorio” disposto per le Regioni a statuto speciale. Si tratta di un tertium genus che si differenzia da quest’ultimo, perché introdotto in forza di una libera scelta della regione, ovviamente revocabile, e per il carattere non tassativo delle eccezioni che può subire; e dal primo, perché, una volta compiuta la scelta e fino a tanto che la relativa deliberazione non venga revocata, essa investe tendenzialmente tutta l’assistenza legale di cui la Regione possa avere bisogno, determinando anche effetti processuali nei riguardi dei terzi.

Gli esposti principi sono stati poi più volte ribaditi: v. Cass., Sez. Un., 3 febbraio 1986, n. 652, in motivazione; Id., Sez. Un.,9 aprile 1987, n. 3490; Id., Sez. Un.,9 luglio 1992, n. 8294; Id., 23 marzo 1995, n. 3357.

La persuasività delle riferite argomentazioni, sulle quali riposa il fondamento di codesti principi ne impone una ulteriore conferma, così ribadendosi che, nei confronti delle regioni a statuto ordinario, la rappresentanza e difesa in giudizio da parte dell’Avvocatura dello Stato può risultare alternativamente soggetta al regime “facoltativo” o a quello “sistematico”, rispettivamente previsti dalle succitate fonti normative.

Resta, dunque, da esaminare come, in relazione a ciascuno di tali regimi, si atteggi la disciplina della posizione processuale dell’avvocatura erariale.

La disciplina del foro erariale (risultante dagli artt. 25 c.p.c. e 6 r.d. n. 1611 del 1993 e ritenuta legittima dalla Corte costituzionale: v. sentenze 16 dicembre 1964, n. 118, e. 23 gennaio 1964, n. 12), secondo la costante giurisprudenza di questa Corte trova applicazione soltanto nell’ipotesi in cui parte in giudizio sia un’amministrazione dello Stato e non estensibile alle cause con enti o organi dello Stato dotati di personalità giuridica autonoma (Cass. 17 novembre 1983, n. 6859; Cass. 25 maggio 1993, n. 3573, che ha escluso il foro erariale per la Cassa del Mezzogiorno; Cass. 25 marzo 1995, che ha escluso il foro erariale per le Ferrovie dello Stato dopo che la sentenza della Corte costituzionale n. 117 del 1990 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 legge n. 210-1985).

Anche per le Regioni a statuto ordinario, dunque, il foro erariale non opera, salvo che esse abbiano deliberato di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, in modo “sistematico”, in base all’espresso [N.d.a.] richiamo, contenuto nel II comma dell’art. 10 l.n. 103-1979, al T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 ed all’art. 25 c.p.c. Ove, invece, non abbiano adottato la deliberazione generale dell’art. 10 l.n. 103/1979, conservando, a norma dell’art. 107 d.p.r. N. 616 [N.d.a.]-1977 piena facoltà di ricorrere alternativamente e senza che le ragioni della scelta possano aver rilievo, all’Avvocatura dello Stato, a liberi professionisti o a difensori dell’ufficio legale interno, vengono a trovarsi in una condizione incompatibile con quella che comporta l’operatività del foro erariale, come è, del resto, desumibile dalla circostanza che l’art. 107 del d.p.r. n. 616 del 1977, a differenza della più recente norma che consente l’adozione del patrocinio sistematico, tace sul punto.

Va, poi, rilevato che, per quanto concerne la notificazione degli atti alle Amministrazioni dello Stato ed agli altri enti pubblici, disposizione fondamentale è quella dell’art. 11 T.U. n. 1611-1933 come novellato dalla legge n. 260-1958 e dal III C. dell’art. 10 l.n. 103-1979.

Sia nel processo amministrativo che in quello innanzi ai giudici ordinari, salve espresse disposizioni legislative in senso contrario (art. 57 D.P.R. 30 marzo 1961, n. 197 che nelle cause relative ai contratti di trasporto innanzi ai pretori e ai conciliatori conferisce la legittimazione passiva al Direttore del compatimento, art. 9 l.3 maggio 1967, n. 317 che, in tema di sanzioni depenalizzate, prevede la notificazione dell’opposizione all’ordinanza prefettizia al Prefetto, art. 23 l.24 novembre 1981, n. 689 ed art. 8 l.24 dicembre 1975, n. 706, che per l’impugnazione dell’ingiunzione per le contravvenzioni depenalizzate prevedono la notifica del ricorso all’autorità che ha emanato l’atto), le notificazioni alle amministrazioni dello Stato vanno effettuate presso la competente Avvocatura, nella persona del ministro competente.

Nessun mutamento legislativo ha subito il 2 comma dell’art. 11 t.u. che prescrive la notificazione alla competente Avvocatura delle sentenze e di ogni altro atto giudiziale: norma che non è meramente ripetitiva degli artt. 170 e 285 c.p.c. in quanto essa opera, a differenza di quanto prescrivono questi ultimi, anche nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia costituita in giudizio.

Ancora una volta, tuttavia, è da escludere che la disciplina speciale ora delineata possa trovare applicazione con riguardo ad amministrazioni non statali che non versino in regime di patrocinio obbligatorio o a regioni a statuto ordinario che non abbiano fatto ricorso al patrocinio sistematico.

Valgono in tal senso considerazioni di tipo sistematico ed argomenti letterali offerti dalle norme di previsione.

È da notare, infatti, che l’art. 45 del r.d. n. 1611 del 1933 contiene un’espressa indicazione delle norme del t.u. che trovano applicazione in caso di ricorso al patrocinio facoltativo di cui al precedente art. 43; e che tale richiamo è limitato al secondo comma dell’art. 1, vale a dire alla disposizione che esonera il patrocinato dall’onere di conferimento di specifico mandato: onde il richiamo ha un senso solo ipotizzando che le ulteriori disposizioni speciali, tipiche in del patrocinio obbligatorio o sistematico, non possano trovare applicazione, visto anche che lo stesso art. 43, che appunto istituisce il patrocinio facoltativo, pur prevedendo, in caso di sua adozione, l’assunzione della rappresentanza e difesa in giudizio, da parte dell’avvocatura dello Stato, “in via organica ed esclusiva” non stabilisce affatto che ciò avvenga in integrale applicazione del regime di cui al citato t.u., a differenza di quanto ha cura di fare il secondo comma dell’art. 10 della legge n. 103 del 1979, nell’istituire il patrocinio “sistematico” delle regioni suddette.

D’altra parte, assunto in tesi che, nel caso del patrocinio facoltativo, l’ente conserva piena e discrezionale facoltà di scelta fra l’affidamento della propria difesa all’avvocatura erariale o a professionista del foro libero ovvero appartenente ad un ufficio interno di avvocatura, se ne deve, coerentemente, desumere che, almeno con riguardo all’atto introduttivo del giudizio, la notificazione non possa che avvenire presso l’ente medesimo, essendo la scelta de qua un atto successivo, rilevante se ed in quanto palesato dalla costituzione in giudizio per il tramite dell’uno o dell’altro difensore; ma allora, la necessità di notificazione della sentenza all’Avvocatura dello Stato, che sia stata prescelta per la difesa, sarebbe null’altro che la conseguenza della costituzione della medesima e discenderebbe dall’operatività delle regole ordinarie; così come, l’accertamento del giudice che negasse la validità di siffatta costituzione, avrebbe l’effetto di ripristinare de jure una situazione di inesistenza della scelta de qua, cui il comportamento della parte notificante dovrebbe necessariamente adeguarsi.

Non sussiste, invece, alcuna differenza fra l’ipotesi di patrocinio attivo “ facoltativo” e di patrocinio “sistematico” dell’Avvocatura dello Stato, nei confronti della Regione a statuto ordinario, relativamente alla non necessità del mandato all’Avvocatura medesima (come costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, non solo di questa Corte: v., fra le numerose altre conformi, Cons. Stato, 2 febbraio 1995, n. 182; Id., 9 giugno 1993, n. 591; Cass., 9 gennaio 1993, n. 136; Id., 13 novembre 1991, n. 12133; Cons. Stato, 16 ottobre 1990, n. 798; Cass., 6 agosto 1987, n. 6759; Cons. Stato, 7 settembre 1988, n. 711; Trib. sup. acque pubbl., 14 giugno 1985, n. 32; Cass., 3 febbraio 1986, n. 652; Id, 23 aprile 1985, n. 2657; Cons. Stato, 8 ottobre 1985, n. 414;

Cass. 5 luglio 1983, n. 4512). Il 5

Al riguardo è determinante il fondamentale rilievo da riconoscere alla disposizione dell’art. 45 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, che, inserito nel titolo III del decreto stesso e, quindi, nel contesto della disciplina dell’assunzione, da parte dell’Avvocatura, del patrocinio di amministrazioni non statali, richiama, come applicabile anche in queste ipotesi, la norma di cui al secondo comma del precedente art. 1, ove si esclude, appunto, la necessità di qualsiasi mandato.

Del resto, ai sensi dell’art. 43 del citato r. d. n. 1611 del 1933, come integrato dall’art. 11 della legge 3 aprile 1979, n. 103, per le amministrazioni non statali autorizzate co1 il segno da n legge o con altro provvedimento (come, appunto, l’art. 107 del d.p.r. 616 del 1977, per le regioni ad autonomia ordinari) ad avvalersi del patrocinio della Avvocatura dello Stato, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nel primo comma dello stesso art. 43 sono assunte dall’Avvocatura stessa in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto; mentre, soltanto qualora esse intendano, in casi speciali, non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata deliberazione da sottoporre agli organi di vigilanza.

Orbene i caratteri di organicità ed esclusività implicano che non occorrano per i singoli giudizi investiture particolari, essendo necessari, invece, proprio per l’esclusione di una tale rappresentanza e l’affidamento di essa a privati professionisti, provvedimenti talvolta soggetti al visto degli organi di vigilanza.

Il sistema così delineato, lungi dall’intaccare il principio dell’autonomia degli enti, si ispira invece all’esigenza di coordinamento e di unità dell’indirizzo amministrativo, che proprio nella funzione consultiva e di difesa in giudizio delle amministrazioni dello Stato delle regioni e degli enti pubblici, da parte dell’Avvocatura, trova specifica attuazione e riferimento.

Ulteriormente precisando, è anche da riconoscere che l’Avvocatura dello Stato, ove agisca in giudizio per una regione, non avendo necessità di apposito mandato, non è, di conseguenza, neanche onerata della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o a resistere in giudizio. L’organicità e l’esclusività del patrocinio, ancorché facoltativo, riducono ad un rilievo meramente interno la deliberazione della regione di avvalersene, perché essa si limita a dare concreta attuazione ad una autorizzazione ex lege.

In altre parole, non può negarsi che l’iniziativa giudiziaria dell’Avvocatura dello Stato richiede il consenso dell’Amministrazione rappresentata, come chiaramente si desume dall’art. 12 della legge 3 aprile 1979, n. 103, secondo cui “le divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell’Avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal ministro competente con determinazione non delegabile” (analogamente dispone il secondo comma dello stesso art. 12 per le divergenze che insorgono tra l’Avvocatura dello Stato e le amministrazioni non statali). Ma proprio alla stregua di tale disposizione è da riconoscere che quando l’Avvocatura dello Stato assume un’iniziativa giudiziaria, in ordine alla stessa necessariamente vi è il consenso della Amministrazione interessata (che ha impedito l’insorgere di una “divergenza”) ovvero, se “divergenza” vi è stata, essa è stata risolta nel senso dell’iniziativa con la “determinazione” prevista dal trascritto art. 12, di guisa che il consenso dell’Amministrazione interessata, comunque esso si sia realizzato (in via tacita ed informale ovvero mediante espressa determinazione), costituisce un atto che non ha alcuna incidenza sul processo, posto che la legge non richiede l’esistenza di un atto di procura per l’esercizio dello ius postulandi da parte degli avvocati dello Stato (art. 1, cpv. t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, che, come si è detto è anche espressamente richiamato dall’art. 45, in collegamento con l’art. 43). In quest’ottica, la necessità della produzione del provvedimento di autorizzazione può imporsi solo quando vi sia conferimento del mandato ad avvocati del libero foro (v. in motivazione, Cass. n. 1416 del 1993).

Il principio della non necessità di mandato neppure in caso di patrocinio facoltativo della regione da parte dell’Avvocatura dello Stato, non può ritenersi revocato in dubbio dalla sentenza di queste Sezioni Unite 13 aprile 1994, n. 3665.

Questa sentenza ha infatti ritenuto che la Regione Calabria, per stare in giudizio per mezzo del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, debba conferire a questa specifico mandato, ma dalla sua motivazione emerge con chiarezza che siffatta statuizione si correla alla peculiare disciplina cui la locale legge regionale 17 agosto 1984, n. 24 assoggetta la costituzione ed il funzionamento di un servizio legale interno, conferendogli le caratteristiche di un patrocinio necessario ex lege, sicché gli argomenti cui venne allora affidato l’assunto suddetto non sono mutuabili in una diversa situazione di specie.

Deve, pertanto, riconoscersi l’ammissibilità del ricorso incidentale della Regione Lazio, siccome proposto dall’Avvocatura dello Stato nell’esercizi di un sussistente jus postulandi.

Il primo motivo di questo ricorso è fondato.

Ai sensi dell’art. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda, verificato, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del petitum sostanziale, vale a dire di quanto sia stato effettivamente domandato, aldi là della mera prospettazione.

D’altra parte, poi, è da ricordare che, nelle controversie di lavoro nei confronti di enti pubblici non economici, per la qualificazione pubblicistica del rapporto di lavoro resta determinante l’inserimento del prestatore di lavoro in posizione di subordinazione e con carattere di continuità nell’ambito dell’organizzazione dell’ente, senza che rilevi né l’assoggettamento del rapporto alla disciplina sostanziale dettata da un contratto collettivo di diritto privato, né la mancanza di un “formale atto di nomina” (Cass. S.U. n. 13033-91) e neppure la diversa qualificazione del rapporto (ad. es., come appalto), da parte dell’ente pubblico, o l’apposizione di termini di durata della prestazione lavorativa (cfr. Cass. S.U. nn. 3002-83, 5776-89, 2288-90, 8429-90, 8749-90, 1519-91, 2434-92 e numerose altre decisioni conformi).

Si è, inoltre, puntualizzato che il rapporto di lavoro dei dipendenti di enti pubblici non economici può essere qualificato privato solo quando il lavoratore risulti inserito non già nella struttura pubblica dell’ente, ma in una organizzazione separata ed autonoma, gestita con criteri di imprenditorialità, essendo in tal caso irrilevante la correlazione della prestazione ai fini istituzionali dell’ente datore di lavoro (Cass. S.U. n. 5792-94, 5628-94, 2696-94, 7829-91, n. 2288-90 cit.); oppure quando la qualificazione privatistica del rapporto sia espressamente prevista dalla legge (Cass. S.U. nn. 3564-91, 6538-92; cfr. anche la sentenza nn. 7037-88, 2286-90, 2990-91).

Orbene, nella specie, i ricorrenti hanno proposto domande intese ad ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con le interviste l’ente pubblico resistente e la reintegrazione in servizio, nell’ambito dell’organizzazione di quest’ultimo, senza deduzione di specifiche circostanze di fatto intese a porre in luce l’inserimento in una separata struttura gestita con assetto di tipo imprenditoriale dall’ente stesso e senza che sussistano particolari disposizioni di legge ricognitive della natura privatistica di un siffatto rapporto. Tanto è, dunque, sufficiente, secondo i testé esposti principi, alla configurazione di un petitum sostanziale sottratto alla giurisdizione ordinaria ed affidato a quella esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

Non senza aggiungere, sotto altro profilo, come sia giurisprudenza costante di questa Corte che il rapporto instaurato fra un soggetto e l’ente pubblico non economico rimane un rapporto di pubblico impiego, appartenente alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche quando detto rapporto sia di origine contrattuale e sia disciplinato da contratti collettivi di carattere privatistico (vedi in questo senso Cass. 20 novembre 1992 n. 12392; Cass. 15 luglio 1991, n. 7829; Cass. 13 febbraio 1991, n. 1519; Cass. 17 marzo 1989, n. 1351).

Ben vero, la stretta correlazione fra configurazione di pubblico impiego e natura di ente pubblico non economico propria del datore di lavoro è ora venuta meno, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che, ad eccezione di alcune carriere statali nominativamente indicate (magistrati, personale militare e di polizia, diplomatici ecc.) per le quali continua a sussistere il rapporto di pubblico impiego e la preesistente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha privatizzato il rapporto di lavoro di tutti i dipendenti dello Stato, delle regioni, degli enti locali, delle università e di tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, attribuendo la relativa giurisdizione al giudice ordinario: ma siffatto trasferimento della giurisdizione è operativo per le sole controversie che insorgeranno . Dopo il 1996 e comunque non prima della fase transitoria stabilita dall’art. 72 (art. 68).

Va, da ultimo, considerato che la particolare natura delle mansioni svolte dai ricorrenti e descritte in parte narrativa non le rende estranee ai fini istituzionali dell’ente resistente, atteso che le regioni, per espressa disposizione dell’art. 117 Cost., sono titolari di potestà legislativa in materia di agricoltura e foreste, che rende competenti anche nell’elaborazione e realizzazione di progetti di fomentazione industriale produttiva (cfr. Corte cost. 11 ottobre 1983, n. 307).

In conclusione, ed in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, deve dichiararsi la giurisdizione esclusiva dell’autorità giudiziaria amministrativa, derivando, poi, da tale declaratoria l’assorbimento del secondo motivo del medesimo ricorso, nonché delle censure tutte proposte con quello principale.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

1 La Corte suprema di cassazione, a Sez. Un., accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

[. Dal Omissis].

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